Congiuntivite, anche gli occhi sono una "spia" del Covid-19. L'oculista: «Ecco i campanelli d'allarme»

Congiuntivite, anche gli occhi sono una "spia" del Covid-19. L'oculista: «Ecco i campanelli d'allarme»
di Graziella Melina
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Mercoledì 3 Giugno 2020, 10:42
Se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima, in tempi di pandemia da Covid 19 potrebbero addirittura essere fondamentali per capire subito se nel nostro corpo ha fatto ingresso il Sars Cov 2, e magari continua a soggiornarvi a nostra insaputa. Secondo gli esperti della Società Oftalmologica Italiana (Soi) - a confronto dal 29 al 31 maggio al congresso nazionale, virtuale - la prima spia del contagio potrebbe essere infatti la congiuntivite. «A volte succede che in una percentuale di pazienti il primo sintomo dell’affezione da coronavirus sia una congiuntivite virale - spiega il presidente della Soi, Matteo Piovella -. Quindi siccome normalmente le persone sottostimano una congiuntivite e magari si fanno vedere da un medico oculista dopo una settimana, dieci giorni, è importante che, differentemente dalle abitudini di prima, si facciano visitare in un tempo adeguato, in modo che se specificatamente esiste una congiuntivite da coronavirus ci si possa proteggere anche nei confronti della malattia».

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Solo un oculista, dunque, è in grado di capire se occorre eseguire controlli specifici per diagnosticare il Covid, oppure se è il caso di escluderlo, visto che le caratteristiche che aiutano a identificare meglio il tipo di congiuntivite sono note. «La grossa differenza da rilevare è tra la congiuntivite batterica e quella virale. La prima è quella classica: normalmente interessa tutti e due gli occhi, che in genere sono estremamente arrossati. Di solito ci si sveglia la mattina con gli occhi appiccicati da una secrezione di colore giallastro, tanto che le persone spesso fanno una certa fatica ad aprirli».

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La congiuntivite che invece può essere causata dal Covid 19 è riconducibile a quelle virali. «Normalmente - prosegue Piovella - colpisce un occhio solo, che in genere non diventa rosso fuoco, ma rimane leggermente rosato. Inoltre, non c’è la secrezione che appiccica la palpebra. Un’altra caratteristica è poi l’ingrossamento del linfonodo cosiddetto retroauricolare, a livello della mandibola, sempre dalla parte dell’occhio che si è arrossato».

In realtà, gli occhi hanno un ruolo importante non solo per la diagnosi, ma purtroppo anche per il contagio. «La via principale di trasmissione - specifica Piovella - avviene attraverso la mucosa della bocca, del naso e la congiuntiva bulbare». Ecco perché evitare di toccarsi il viso è tra le precauzioni primarie per difendersi dal Sars Cov 2. «Se ho il virus sulla mano, non vuol dire che poi passa attraverso la pelle: la mano è solo un meccanismo di contagio. Se invece vado a toccare le parti sensibili, come le mucose appunto, lì avviene la trasmissione. Ed è per questo che dobbiamo lavarci le mani, perché così diventano sterili e il pericolo di contagio non esiste». È anche vero, però, che il rischio di infettarsi toccando gli oggetti non è quello che preoccupa di più. «Il contagio tramite le superfici è pari all’1 per cento dei casi, il 99 per cento della responsabilità è invece dovuta alle goccioline, le cosiddette droplets».

E se con le mascherine è possibile proteggere naso e bocca, gli occhi restano invece una porta di ingresso potenzialmente sempre aperta. «Appena arriva a livello della congiuntiva dell’occhio, sia delle palpebre che del bianco, la gocciolina si mischia immediatamente al liquido lacrimale, che umetta l’occhio 24 ore al giorno». Dopodiché, il passaggio del virus dal naso alla gola è bello e fatto. Ecco dunque la necessità di proteggere gli occhi da un possibile contagio. «È importante indossare occhiali protettivi per evitare il contatto con le goccioline che a volte sono sospese nell’aria. Se portiamo un occhiale da sole molto aperto, evidentemente il rischio è comunque molto limitato. È più sicuro però avere un occhiale chiuso, di quelli più avvolgenti».

Le stesse precauzioni valgono poi anche al mare o in piscina, dove è sempre opportuno rispettare la distanza di almeno un paio di metri se si ha voglia di una bella nuotata. «Se la gocciolina non è diluita - precisa infatti Piovella - c’è tutta la carica batterica, ma se io la stessa gocciolina la diluisco in mille litri d’acqua, è evidente che la carica batterica verosimilmente diminuisce, anche per il tempo che impiega ad arrivare a contatto con l’altra persona». 
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