Nella corsa al vaccino anti-Covid, uno degli interrogativi maggiori riguarda proprio la strategia da seguire per far sì che la campagna vaccinale abbia gli esiti sperati: fermare la pandemia, riducendo notevolmente la circolazione del virus. E allora, oltre alle fasce deboli, si punta ai giovani spesso asintomatici ma considerati la “sorgente” del virus: vaccinando gli under20, infatti, si ferma anche la circolazione del Covid. Se sembra infatti chiaro che a gennaio potrebbero arrivare le prime dosi di vaccino in Italia, con un totale di oltre 200milioni nei primi tre mesi del 2021, altra cosa è capire a chi saranno destinate nel primo periodo. L'idea generale è quella di favorire la vaccinazione nelle categorie a rischio, a cominciare dagli operatori sanitari, medici e infermieri impegnati in prima linea nella lotta al Covid, per poi coprire le fasce deboli per età e patologia.
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Tutto in linea con quanto avviene nella campagne vaccinali contro l'influenza stagionale.
Del resto sempre in base a questo principio il Centers for Disease Control and Prevention, l’organismo di controllo americano della salute pubblica, ha consigliato la vaccinazione stagionale contro l’influenza anche ai bambini oltre i sei mesi. L'idea di dare la precedenza ai giovani, di fatto, va in senso contrario a quanto riferito solo qualche settimana fa, il 15 ottobre scorso, dall'Oms. L'Organizzazione mondiale della sanità ha dato infatti le prime indicazioni per quanto riguarda i giovani che non riceveranno il vaccino, probabilmente, prima del 2022: «La priorità l'avranno gli operatori sanitari e quelli in prima linea, su questo siamo tutti d'accordo – spiegato la ricercatrice capo dell'Oms, Soumya Swaminathan - ma anche in quei casi bisognerà stabilire chi corre i rischi più alti. Poi ci saranno gli anziani. Un giovane in salute potrebbe dover aspettare fino al 2022».
Ma ora evidentemente l'approccio al vaccino per fasce di età sta decisamente cambiando direzione. Al Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle sono stati ipotizzati diversi scenari in base all'efficacia che verrà dimostrata dal vaccino. Innanzitutto si parte dall'idea che vaccinare prima le persone più anziane significa ridurre al minimo il tasso di mortalità e lo stress sul sistema delle terapie intensive. Ma un abbassamento delle morti complessive si può raggiungere anche vaccinando prima i bambini e le fasce adulte progressivamente dai 20 ai 50 anni. «Se avremo a disposizione un vaccino efficace al 60% per il 30% della popolazione – è la stima degli esperti – ci troveremo davanti a un bivio: somministrarlo ai giovani ridurrebbe al minimo le infezioni sintomatiche e i ricoveri non in terapia intensiva, mentre somministrarlo agli anziani ridurrà al minimo i ricoveri in terapia intensiva e i decessi».