Vaccino, una sola dose o meglio due? Dall'età alle varianti: ecco cosa cambia

Vaccino, una sola dose o meglio due? Dall'età alle varianti: ecco cosa cambia
di Graziella Melina
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Domenica 28 Febbraio 2021, 09:31 - Ultimo aggiornamento: 22:45

Il virus continua a correre, l'epidemia va fermata, ma le dosi di vaccino non sono ancora sufficienti per tutti. Ed ecco allora che si fa strada l'idea di inoculare la prima dose a più persone possibile. Ma la copertura ne risente? Ecco le risposte di Francesco Menichetti ordinario di malattie infettive dell'Università di Pisa: «Sicuramente il modello del Regno Unito la suggerisce come un'ipotesi di politica vaccinale generale anche piuttosto efficace. Bisogna distinguere però considerazioni relative all'efficacia nei singoli soggetti, dagli effetti di una politica generalizzata. Che non collimano sempre e comunque».

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QUALI I VANTAGGI
DI UNA SOLA DOSE?


Con una singola dose si riescono a vaccinare molte più persone, garantendo in media una copertura parziale, non ai massimi livelli di efficacia, di una quota rilevante di popolazione.

Ci riferiamo a 17-18 milioni di vaccinati nel Regno Unito, contro 4 milioni di dosi inoculate in Italia.


L'EFFICACIA È LA STESSA?


Se guardiamo l'esperienza scozzese che riguarda oltre 5milioni di cittadini possiamo osservare che lì si sono abbattuti i ricoveri ospedalieri per oltre il 90 per cento con la singola dose di Astrazeneca, e per oltre l'82 per cento con la singola dose di Pfizer Biontech. C'è una riprova sul campo che con questo tipo di politica si ottengono risultati importanti sugli indicatori dei ricoveri.


QUALI SONO I LIMITI?


Sono relativi al mancato rispetto delle schedule vaccinali indicate o utilizzate nelle sperimentazioni che ne hanno permesso la registrazione. L'autorizzazione regolatoria europea ed italiana per Pfizer è basata sulla doppia dose a tre settimane, quella di Moderna a 4 settimane. Gli studi clinici hanno dimostrato un'elevatissima efficacia nel prevenire la malattia: per ambedue i preparati a rna messaggero si attesta intorno al 90-92 per cento se fatta con quell'intervallo di tempo. Il vaccino Astrazeneca ha invece una peculiarità che è molto vantaggiosa e che lo rende appetibile per una politica vaccinale in dose preliminare singola: il richiamo è infatti indicato a tre mesi.


COSA CAMBIA SE NON SI RISPETTANO I TEMPI?


Sull'azzardo relativo al fatto che si utilizzino vaccini a doppia dose (Pfizer o Moderna) non più a tre-4 settimane ma in modo diverso dalla schedula vaccinale, restano molti dubbi. Non esistono ancora dati.


PER CHI HA AVUTO
IL COVID BASTA UNA DOSE?


È un'ipotesi di lavoro, ma bisognerebbe consolidarla molto di più: bisogna verificare se la singola dose può risvegliare una copertura di lunga durata. Non si conosce ancora l'effetto del vaccino sul medio-lungo periodo. Abbiamo solo informazioni parziali, non esistono dati che vadano oltre i sei mesi. Bisogna purtroppo aspettare e mettere a fuoco le evidenze scientifiche. L'orientamento per ora è quello di vaccinare comunque chi ha avuto l'infezione, anche se magari viene lasciato in coda nell'elenco delle priorità.


CONTANO LE CONDIZIONI DI SALUTE?


Le persone più fragili dai 65 anni in su e quelle affette da fragilità con patologia, che in Italia sono 20milioni, sarebbe meglio che ricevessero il ciclo di vaccinazione completa. Per le persone sotto i 65 anni si potrebbe pensare ad una politica vaccinale meno stringente, ma che tenga conto però delle schedule vaccinali.


SI È MENO PROTETTI
DALLE VARIANTI?


L'obiezione rilevante riguarda appunto il fatto che la singola dose vaccinale, dando un'immunità inadeguata, potrebbe favorire la diffusione delle varianti. Sono rischi che si possono correre. È sempre bene che si abbia una vaccinazione completa, però occorre considerare anche che è stata dimostrata l'efficacia dei vaccini solo nei confronti della variante inglese. Per quanto riguarda invece la variante brasiliana e quella sudafricana si ha ragione di ritenere che i vaccini non siano completamente protettivi.


QUALE LA STRATEGIA CORRETTA?


La politica vaccinale deve basarsi sulla sintesi virtuosa di quello che è possibile, e farlo al meglio. L'esperienza della Scozia, con la riduzione dei ricoveri, non ci dà informazioni sulla riduzione della diffusione del virus. Ma è evidente che una politica vaccinale che riesca a coinvolgere una larga fetta della popolazione è certamente in grado di ridurre anche la circolazione del virus.

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