Covid, Cricelli: «Tamponi dai medici di base? Solo il 20% in grado di farli»

Covid, Cricelli: «Tamponi dai medici di base? Solo il 20% in grado di farli»
Covid, Cricelli: «Tamponi dai medici di base? Solo il 20% in grado di farli»
di Graziella Melina
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Lunedì 12 Ottobre 2020, 08:25 - Ultimo aggiornamento: 10:10

Riuscire a fare i tamponi dal proprio medico di base potrebbe essere una chimera. «L'iniziativa è buona e va nella direzione giusta», spiega Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (Simg). Peccato però che per effettuarli servono strutture e personale sanitario adeguati. «Ci vorrà del tempo perché al momento non siamo in condizione di agire in sicurezza - ammette Cricelli - Per il momento, potranno aderire solo i medici che hanno una buona organizzazione di studio».

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Perché è così complicato effettuare i tamponi dai medici di base?
«Dobbiamo considerare che abbiamo studi che non sono stati pensati e non sono attrezzati né per questa situazione, né comunque per una medicina generale evoluta.

Circa meno del 10 per cento degli studi dei medici di famiglia hanno attrezzature, dotazioni e soprattutto personale per effettuare questo tipo di screening. Non è soltanto la diagnostica per il Covid che è difficile da realizzare, ma è l'esecuzione persino di esami semplici in generale che ci è quasi preclusa da molti anni, anche se noi potremmo eseguirla senza problemi».

Ma i 235 milioni stanziati per la diagnostica di primo livello che fine hanno fatto allora?
«Non sono mai arrivati, anche perché vengono distribuiti alle Regioni e quindi passano attraverso un filtro lentissimo. Si tenga presente poi che l'organizzazione del lavoro della medicina generale varia moltissimo da caso a caso a caso, e da Regione a Regione. Di sicuro, chi può eseguire con più facilità procedure diagnostiche avanzate è il medico che si è organizzato con attrezzature e soprattutto con personale infermieristico adeguati».

La richiesta non è nuova però. Serviva il vostro supporto anche per lo screening da fare a scuola.
«Anche in quel caso è dipeso dal tipo di organizzazione dei singoli studi medici. Alcuni si sono rifiutati non per mancanza di buona volontà, ma perché privi della strumentazione e del personale infermieristico in grado di effettuare i test. Altri invece hanno chiesto del tempo per potersi attrezzare. E solo una parte minoritaria ha eseguito il test a scuola: ma solo perché appunto avevano già uno studio attrezzato e personale adeguato».

Ma in tutti questi mesi perché non vi siete organizzati a dovere?
«I medici di famiglia lavorano in studi che non sono stati pensati per una situazione di emergenza, ma per il lavoro che fino ad ora ci era stato chiesto di fare, ossia di tipo ambulatoriale. Moltissimi medici non hanno uno studio privato, l'hanno dovuto affittare, spesso vicino alla farmacia, e per lavorare si sono adeguati. Ora, da una parte scoppia un nuovo modo di pensare la medicina generale, dall'altra arriva la pandemia: non è pensabile che nell'arco di sei mesi circa 40mila medici cambino studio, assumano infermieri, anche perché non è successo niente per consentire tutto questo».

Non siete dunque ancora in grado di garantire la sicurezza necessaria per eseguire i test?
«Esatto. Sono rarissime le strutture nate in locali specifici per la medicina ambulatoriale».

E quindi, alla fine, in quanti pensa che accetteranno di fare i tamponi?
«In totale, credo intorno al 20% dei medici. Ma si tenga conto poi che in questo momento si può entrare solo per appuntamento, uno alla volta, con calma e con tutte le protezioni. E che dovremo pure vaccinare per l'influenza circa 17milioni di persone».
 

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Un'eventuale chiusura serale dei 25.000 bar italiani che lavorano di notte comporterebbe una riduzione del loro fatturato di 8 milioni al giorno equivalente a 250 milioni di euro al mese. Queste le stime della Fipe, l'associazione della ristorazione di Confcommercio di fronte alle indiscrezioni sulla possibile imminente stretta sugli orari dei bar in funzione anti- Covid.


 
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