Vaccino, Sassoli: «Deroga sui brevetti e subito il pass agli immuni»

Vaccino, Sassoli: «Sbloccare i brevetti e subito il pass agli immuni»
Vaccino, Sassoli: «Sbloccare i brevetti e subito il pass agli immuni»
di Alberto Gentili
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Domenica 28 Febbraio 2021, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 12:15

«La discussione all’ultimo Consiglio europeo ha fatto emergere problemi comuni, segnalato i rischi della terza ondata della pandemia e messo in chiaro disfunzioni e ritardi. Mi sarei aspettato di vedere qualche leader raccogliere la vera sfida di questo tempo drammatico e alzare lo sguardo per dire che serve costruire una vera politica europea della salute. Nessuno invece si è detto disponibile a trasferire poteri nazionali all’Unione. Questo coraggio non si è espresso: i governi hanno dato la sensazione di voler tenere le proprie competenze per conservare il diritto di critica a un’opera di supplenza affidata via via all’Unione europea. Ma cosa pensano, che terminata la pandemia si possa tornare come prima? Dopo la “mucca pazza” si è realizzata una politica europea sulla salute animale che ha dato importanti risultati. La salute umana non merita altrettanta tutela? E’ il momento di prendere decisioni e i governi nazionali devono essere molto chiari». E’ duro il j’accuse di David Sassoli, presidente dell’Europarlamento, contro i leader dei Ventisette.

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Draghi al Consiglio Ue ha chiesto un approccio più risoluto per accelerare la campagna vaccinale, proponendo anche il blocco delle esportazioni per le Big Pharma che non rispettano gli accordi. E’ d’accordo?
«Piuttosto che immaginare chiusure dobbiamo spingere affinché si apra una fase nuova che sarebbe conveniente per la ricerca, la salute, gli investimenti, il rafforzamento del multilateralismo.

Abbiamo salutato con soddisfazione l’arrivo di Biden alla Casa Bianca dopo che l’Unione, nell’era di Trump, ha affrontato da sola per la prima volta nella sua storia una grande crisi. Ce la siamo cavata anche meglio di Trump, ma insieme avremmo potuto fare di più. Dobbiamo domare le onde provocate nell’Atlantico e inaugurare una nuova stagione di cooperazione partendo dalla lotta comune al Covid. Nel frattempo, i Paesi Ue devono accelerare la somministrazione del vaccino. Ad esempio perché non vaccinare di giorno anziani e vulnerabili e di notte giovani e persone sane? Chi lo impedisce? I governi devono sbrigarsi. In questo momento, nell’Unione europea sono state consegnate 51 milioni di dosi e ne sono state somministrate 29 milioni».

Dunque il problema è il ritardo dei governi, non le sanzioni per le case farmaceutiche inadempienti nelle consegne?
«Le case farmaceutiche vanno sanzionate duramente se hanno violato i contratti o se hanno commesso frodi. Ma c’è il problema di come procedere speditamente alla vaccinazione e questo fa parte dei piani nazionali che devono essere accelerati. La Ue ha l’obiettivo di vaccinare il 70% degli europei entro la fine dell’estate, il che significa 255 milioni di cittadini. Fino adesso ne sono stati vaccinati il 10%, pari a 25 milioni. L’Italia ha vaccinato con due dosi il 2,3% degli italiani e cioè il doppio dei vaccinati con 2 dosi dalla Gran Bretagna che usa il sistema della dose unica».

Anche Draghi vorrebbe adottarlo.
«Consiglio tutti ad attenersi alle indicazioni dell’Ema, visto che è considerata la più importante agenzia del farmaco nel mondo. E l’Ema raccomanda 2 dosi. L’Italia ha un tasso di vaccinazione ogni 100 abitanti dello 0,15%, contro la media europea dello 0,16».

Ritiene troppo ambizioso il piano per vaccinare il 70% della popolazione europea entro l’estate?
«E’ il grande risultato che insieme ai 27 Stati dobbiamo raggiungere e credo sia possibile».

Nonostante i ritardi nelle consegne da parte delle case farmaceutiche?
«Come Parlamento Ue abbiamo svolto un’attività di vigilanza sul lavoro della Commissione e abbiamo già chiamato Ursula von der Leyen a chiarire disfunzioni e ritardi. Ma va detto che l’Unione si è assunta un’attività di supplenza enorme in mancanza di una vera competenza europea: fornire i vaccini ai Paesi membri per proteggere tutti i cittadini. La ricerca è stata finanziata e la scienza ha potuto correre e ottenere risultati prima del tempo. Ma l’industria non ha saputo tenere il passo della scienza, arrivata al traguardo prima del previsto. E si è creato un deficit di produzione. Questo è il vero guasto che sta danneggiando l’approvvigionamento e la distribuzione dei vaccini. Però nel frattempo c’è una domanda da farci».

Quale?
«Perché i governi, soprattutto quelli che hanno capacità industriali importanti, non hanno pensato a organizzare linee di produzione idonee a sostenere l’approvvigionamento? Ora ci si sveglia in ritardo e nessuno vuole ammettere la propria corresponsabilità».

Cavaleri, responsabile terapie e vaccini dell’Ema, dice che è allo studio nell’Ue la procedura di autorizzazione in emergenza di farmaci e vaccini, simile a quella adottata negli Usa. È una buona idea?
«Certo, è un modo per dotarsi di uno strumento europeo di coordinamento ed evitare di intervenire solo in emergenza. La proposta è allo studio. Se fosse attuata presto potrebbe consentirci di essere alla pari con gli Usa». 

Draghi propone di acquistare i vaccini fuori dalla Ue e di ritardare la distribuzione ai Paesi terzi. E’ d’accordo?
«Abbiamo due obiettivi: mettere in sicurezza l’Europa e contribuire a proteggere il pianeta. Questi due impegni devono correre in parallelo, perché nessuno può voltarsi dall’altra parte e pensare di vivere chiuso nella sua fortezza con gli appestati alle porte. La salute degli altri vale quanto la nostra. Perciò dobbiamo sentire forte la missione di aiutare i Paesi a basso reddito, anche perché ciò in prospettiva significherà rafforzare il ruolo di attore globale dell’Europa».

Prodi dice che la Commissione deve «battere i pugni sul tavolo» e spingere le Big Pharma a cedere i brevetti. Lei? «L’accesso alla conoscenza scientifica, l’eventuale sospensione temporanea dei diritti di proprietà intellettuale e una deroga all’esclusiva di produzione per i detentori del brevetto, non possono essere tabù in epoca di pandemia. Il profitto non può prevalere sulla difesa della salute del mondo. Commissione e governi dovrebbero fare la loro parte in sede di Wto e Oms dove si discute di questi temi. Non dobbiamo avere paura di misure straordinarie e sono sicuro che anche le grandi industrie saranno pronte a collaborare». 

Al Consiglio Ue lei ha proposto il passaporto vaccinale. Si andrà avanti?
«Sono contento che la mia proposta sia stata raccolta da molti governi e in particolare da quello italiano. Sarà un modo ordinato di procedere alle riaperture sia nel settore turistico, che in quello economico e dell’autotrasporto. Chi non vorrà vaccinarsi dovrà continuare a sottoporsi ai test e alle quarantene. Puntiamo ad avere il certificato vaccinale europeo tra 3-4 mesi, in modo da consentire anche il rilancio estivo delle attività turistiche».

Al vertice Ue si è saldato l’asse tra Draghi e Macron. Con l’uscita di scena a settembre della Merkel, pensa che la premiership di Draghi possa dare all’Italia un peso maggiore nei nuovi equilibri europei?
«Draghi consente all’Italia di rilanciarsi nel progetto europeo. Ciò significa che il nostro Paese sarà attore protagonista delle dinamiche della nuova Europa. Una grande opportunità per l’Italia e per l’Unione».

Tra l’altro Draghi ha progetti ambiziosi, punta alla fiscalità comune e a rendere strutturali gli eurobond. Ce la farà?
«Questo è il momento di osare davanti le grandi sfide della ripresa post-pandemia. L’esperienza dell’ultimo anno ha dimostrato che abbiamo bisogno di invenzioni e di capacità creativa. Tutti gli strumenti adottati sono inediti e i vecchi, come il Patto di stabilità e le regole sugli aiuti di Stato, sono stati sospesi. Ebbene, quando parte il Recovery Plan e quando saremo in piena ripresa, non potremo permetterci di tornare indietro riadottando le vecchie regole».

Ma crede davvero che i Paesi del Nord, sempre molto arcigni, accetteranno?
«Capiranno che cambiare è conveniente. Tutti i Paesi stanno spendendo tanto contro la pandemia e i debiti crescono. Abbiamo avuto con il fondo Sure, a sostegno della cassa integrazione, la prima emissione di bond comuni. Ed è stato un successo. Adesso si dovranno emettere 750 miliardi di bond per finanziare il Recovery Fund e anche questo sarà un successo chee permetterà, anche ai Paesi del Nord, di capire che un debito solidale è utile per tutti».
 

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