Covid, esami e visite in bilico: tornano i malati di serie B

Covid, esami e visite in bilico: tornano i malati di serie B
di Graziella Melina
4 Minuti di Lettura
Domenica 18 Ottobre 2020, 08:11

Non esistono solo i pazienti Covid. Per le altre patologie che affliggono milioni di persone, con il continuo rialzo dell'epidemia si rischia ancora una volta di fare un passo indietro. Dopo il primo stop imposto dal lockdown, la possibilità infatti che visite e screening saltino di nuovo è ormai alle porte. L'allarme lanciato mesi fa da cardiologi e oncologi, in particolare, sul numero imponente dei pazienti che durante l'emergenza dei mesi scorsi non avevano ricevuto le cure adeguate è rimasto in parte inascoltato.
Quasi impossibile del resto recuperare 3 milioni di visite cardiologiche saltate su 18 milioni previste, come aveva calcolato la Società italiana di Cardiologia. E da maggio ad oggi altrettanto titanico sarebbe stato lo sforzo di effettuare 1,4 milioni di esami di screening saltati, stando al computo fatto dall'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom).

Regno Unito, «C'è il Covid, niente chemio per 3 mesi»: così hanno condannato a morte Kelly


SPAZIO AI CONTAGIATI
E ora la situazione si fa ancora più dura, visto che ormai in quasi tutti gli ospedali si cerca di fare spazio ai pazienti Covid riconvertendo reparti e spostando il personale prima dedicato ad altri pazienti. La coperta era già corta e ora tocca comunque spostarla da un'altra parte. «Gli screening effettuati in strutture sanitarie, per esempio attraverso la mammografia, impegnano le radiologie - spiega Claudio Cricelli, presidente della Società italiana medicina generale e delle cure primarie (Simg) - ma se si hanno tutti i radiologi impegnati per il Covid è inevitabile che in quel momento lo screening del cancro passi in secondo piano. Per quanto riguarda i normali esami di routine, se comportano un accesso esagerato a strutture ospedaliere che sono già in sovraccarico, è ovvio che vanno modulati. È importante tenere presente invece che anche in condizione di emergenza, il controllo medico delle persone malate deve essere garantito».
Difficile dire quanti esami siano stati recuperati finora.

Anche perché, rimarca Giordano Beretta, presidente dell'Aiom, «se le Asl non attivano i percorsi dedicati, i pazienti non possono andare a fare gli screening. E così si dimentica che i morti di cancro sono molti di più dei morti di Covid». Le prime visite oncologiche si sono ridotte del 30%. L'Aiom stima poi un calo di 2.099 nuove diagnosi di tumore al seno e circa 4mila adenomi avanzati del colon retto non diagnosticati. Il problema è che «è stato tutto fermo pressoché dappertutto tra febbraio e maggio, e poi a maggio qualche servizio non è ripartito. Sottovalutando il fatto che arrivare tardi ad una diagnosi di tumore significa compromettere la possibilità di guarigione».


CURE INADEGUATE
La preoccupazione che i pazienti non siano in grado di ricevere cure adeguate è evidente pure tra i cardiologi. «Durante la fase più acuta dell'epidemia - ricorda Francesco Romeo, a capo della Cardiologia del Policlinico Tor Vergata di Roma - c'è stata una riduzione di più del 50% del numero degli infartuati che si presentavano al nostro Pronto Soccorso. L'allarme lo abbiamo lanciato già a marzo. Abbiamo osservato che molte persone, seppure in presenza di sintomi riconducili all'infarto, temporeggiavano pur di non andare in ospedale per paura del contagio. E purtroppo molte morti improvvise a casa sono sicuramente dovute a questo ritardo nella presa in carico del paziente».
L'attenzione che ora si sta però concentrando in prevalenza sul Covid rimette di nuovo in bilico un sistema che a fatica cercava di riprendersi. «Con la nuova riorganizzazione in atto - prosegue Romeo - noi temiamo che stiano cominciando a chiudere reparti di cardiologia, e che anche le terapie intensive vengano rimodulate come terapie intensive Covid. Questo determina sicuramente una perdita di efficacia di attività della rete cardiologica, sia come acuti sia per l'emergenza». E le conseguenze sarebbero devastanti. «Noi trattiamo circa 200mila sindromi coronariche acute l'anno. Se avessimo un aumento delle mortalità del 10%, vorrebbe dire che morirebbero 20mila persone in più».

© RIPRODUZIONE RISERVATA