Covid, Crisanti: «Lockdown inevitabile se mercoledì non vedremo dati diversi»

Lockdown Covid, Crisanti: «Bisognava fermare tutto, Italia in ritardo di 15 giorni»
Lockdown Covid, Crisanti: «Bisognava fermare tutto, Italia in ritardo di 15 giorni»
di Mauro Evangelisti
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Venerdì 30 Ottobre 2020, 22:33 - Ultimo aggiornamento: 31 Ottobre, 15:38

«Su 83 milioni di abitanti, dunque molti più dell’Italia, e con 10 mila contagi al giorno in meno, la Germania interviene con le chiusure ben prima di noi. Siamo già in ritardo, almeno di due settimane. Quanto meno in alcune Regioni sarebbe stato necessario chiudere prima. Ora stiamo inseguendo l’epidemia, speriamo che non sia troppo tardi». Il professor Andrea Crisanti, docente di Microbiologia dell’Università di Padova, in questi giorni è tornato sotto i riflettori. Dopo la rottura con Luca Zaia in Veneto, si parla di un suo dialogo con il Lazio per una collaborazione allo Spallanzani («non smentisco, non confermo» dice).

Professore, con questi numeri, con i contagi oltre quota 30mila, cosa dobbiamo fare? Bisogna chiudere tutto e subito?
«Vedremo se le misure approvate dal Governo hanno un effetto, ma se non ce l’avranno, saranno inevitabile limitazioni più restrittive.

Penso che aspetteranno la prossima settimana per capire se il Dpcm sta dando risultati. Se mercoledì non vedremo dati differenti, sarà finita. Si andrà per forza al lockdown, magari in una forma meno severa di marzo. Ma qualcosa sarà inevitabile fare».

Pensa che bisognerà chiudere tutto il Paese o intervenire con lockdown regionali, nei territori maggiormente in difficoltà in cui l’epidemia appare fuori controllo? Ci sono aree in cui l’Rt, l’indice di trasmissione, ormai è sopra al valore di 2.
«Sa qual è il problema, vero? Siamo in ritardo, abbiamo aspettato troppo tempo. Il lockdown nelle regioni maggiormente in affanno andava fatto due settimane fa, non adesso».

Perché non funzionerebbero più le chiusure su scala regionale, calibrate in base alla situazione delle singole Regioni?
«Già si vede una parcellizzazione della trasmissione del virus, ormai è diffusa in tutto il Paese. Non sarebbero più sufficienti i singoli lockdown regionali che invece sarebbero stati utili due settimane fa».

Quindi meglio un lockdwon nazionale.
«O per lo meno potremmo decidere chiusure meno severe nelle Regioni con una minore diffusione del virus, più rigorose nelle altre. Possiamo differenziare, ma comunque bisogna intervenire su macro aree, non c’è più tempo per interventi limitati a piccoli territori. Possiamo anche scegliere la formula della Germania, ma quel Paese è intervenuto due settimane prima di noi. Basta vedere quanti casi hanno su un numero di abitanti assai più alto. La Germania sta intervenendo per tempo, noi siamo in ritardo, perché abbiamo più positivi ogni giorno, ma stiamo aspettando nel prendere decisioni simili a quelle già varate dalla Merkel».

Professore, il suo dialogo con il Lazio e con lo Spallanzani si è arenato perché lei è contrario all’utilizzo dei tamponi rapidi antigenici, utilizzati invece in modo massiccio dalla regione governata da Zingaretti. «Ma io non sono contrario di principio al tampone rapido, dico che però bisogna usarlo nel modo più opportuno».

Anche il commissario per l’emergenza coronavirus, Domenico Arcuri, ha annunciato che in Italia, dalla prossima settimana, si faranno non solo 200mila tamponi molecolari, ma anche 100mila rapidi antigenici.
«Io non ho una linea diversa da quella della Regione Lazio. Penso che i test rapidi servano a individuare la trasmissione all’interno di determinate comunità. Il problema è un altro: se invece il test rapido viene utilizzato come strumento di agibilità sociale, per dimostrare la negatività di un caso sospetto, allora mi preoccupo. Ancora: se viene usato, ad esempio, per consentire a una persona di visitare i nonni in una casa di riposo, mi preoccupo di nuovo. Ma i centomila antigenici al giorno, se usati mali, possono essere controproducenti. Se si utilizzano come barriere per regolare accessi in una casa di riposo è un doppio salto mortale senza rete. Se nella stessa casa di riposo li uso ciclicamente, tra gli ospiti, per verificare se c’è circolazione del virus, allora ha un senso».

Nel Lazio si ricorre non di rado al test rapido antigenico. Solo se una persona risulta positiva, allora si fa il tampone molecolare.
«Non credo. Questo salvacondotto di agibilità sociale del tampone rapido, nel documento che ho condiviso con la Regione Lazio, non era previsto. Si tratta di una distorsione che viene fatta dell’uso test».

Negli aeroporti è sbagliato utilizzarlo?
«Negli aeroporti può avere una funzione importante. Però se si trovano con l’antigenico dei positivi su un volo, poi a tutti gli altri passeggeri bisogna fare il molecolare, anche se sono risultati negativi al test rapido. Lo stesso principio, ad esempio, può essere applicato alla classe di una scuola: test rapido a tutti gli alunni, se trovo un positivo faccio la verifica con il molecolare, se conferma la positività, molecolare anche ai compagni».

Perché lei ritiene non affidabile il test rapido?
«Ci dicono: il test rapido ha una corrispondenza con il molecolare vicina al 100 per cento. Certo, perché fanno la verifica solo sui positivi. I guai vengono da coloro che risultano negativi al test rapido ma che in realtà sono positivi, sono attorno al 30 per cento».

Altri sostengono che il test antigenico è affidabile perché intercettale cariche virali alte, può sbagliare solo su quelle basse che non hanno un alto livello di contagiosità.
«Ma chi dice questo non ha capito un cavolo. All’inizio del contagio la carica virale può essere bassa, poi diventa media e poi alta, infine si riabbassa. Quando faccio il test, se siamo all’inizio di quel percorso, rischiamo di non intercettare una persona positiva che qualche giorno dopo avrà una carica virale più alta».

Ma dunque verrà allo Spallanzani come consulente?
«Come faccio a rispondere? Se le chiedessi se lei va al Washington Post lei cosa mi risponderebbe? Scherzi a parte, preferisco non commentare, non smentire o confermare, anche perché non decido io. Da una semplice chiacchierata, non si possono trarre conclusioni».

Lei è romano, sarebbe come tornare a casa.
«Sono di Prati, mia moglie di Trastevere. Certo che sono romano».

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