Coronavirus, il microbiologo Sanguinetti: «Basta tifo da stadio, la mascherina va messa. Sempre»

Coronavirus, il microbiologo Sanguinetti: «Basta tifo da stadio, la mascherina va messa. Sempre»
di Lorena Loiacono
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Giovedì 23 Luglio 2020, 20:07 - Ultimo aggiornamento: 24 Luglio, 09:59

Non è i momento di abbassare la guardia, non ora. E' questo l'appello che arriva dalle Regioni e dai camici bianchi: il Covid-19 potrebbe riprendere vigore in qualunque momento e non bisogna permetterglielo. I dati della Protezione civile parlano chiaro: sono 306 i nuovi casi nelle ultime 24 ore, contro i 282 di ieri. Dall'Emilia Romagna tuona il governatore Stefano Bonaccini: «Chi dice che il virus è stato completamente ucciso o è un imbecille o è un irresponsabile – dai microfoni di Rai 1 aggiunge - non vorrei che per colpa di qualche imbecille o irresponsabile che non mantiene le prescrizioni, che sono ancora in vigore, ci trovassimo tra qualche mese a dover chiudere quello che faticosamente abbiamo riaperto». Stesso allarme dalla Regione Lazio dove interviene l'assessore alla sanità, Alessio D'Amato: «L’attuale andamento epidemico è fortemente caratterizzato da focolai relativi ai cosiddetti casi di importazione e da un abbassamento dell’età dei contagi dovuto anche alla movida. Questo è il mese in cui bisogna abbassare il più possibile la curva per esser pronti a settembre. Ogni incertezza potrebbe avere conseguenze gravi. Nell’ultimo mese nel Lazio abbiamo avuto casi provenienti da 25 Paesi». E allora l'allerta deve restare alta, per non farsi trovare senza difese.

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Prof. Maurizio Sanguinetti, docente di microbiologia e direttore del dipartimento scienze di laboratorio e infettivologiche del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, questo virus deve farci ancora paura? 

«Quando si dice di dover imparare a convivere con il virus vuol dire che dobbiamo fare la nostra vita senza mai dimenticarci che il virus c'è: ha una potenza inferiore? No, non si modificato ma si è ridotta la quantità del virus i circolazione. La paura non serve, serve invece evitare in ogni modo nuovi focolai».

Come ci si riesce?

«Vanno identificati i focolai quindi le persone infette, Solo così si riduce la trasmissione del virus. In poche parole significa non ricreare le condizioni che ci hanno portato al lockdown»

Possiamo difenderci quindi?
«Dobbiamo farlo: conosciamo benissimo le regole. Ormai sappiamo bene quali sono quelle che ci aiutano e sarebbe un reato non metterle in pratica. Quindi la mascherina va usata, soprattutto nei luoghi chiusi, e non vanno creati grandi gruppi di persone sia all'aperto sia e soprattutto nei luoghi chiusi».

Altrimenti?

«Altrimenti rischiamo di ripartire con i contagi: del resto ci sono chiare evidenze di possibili ri-accensioni del virus e non mi riferisco a Paesi lontani come gli Stati uniti e il Sud America, ma anche ai nostri “vicini” come la Spagna. Una recrudescenza importante ma di minore gravità non ci dice che possiamo stare tranquilli: questi casi devono essere comunque isolati e identificati».

Fino a quando si rischia?

«Fino all'arrivo del vaccino, dobbiamo resistere fino a quel giorno. Ma non è così difficile: vogliamo andare al ristorante? Andiamo senza timori ma con la mascherina fino al tavolo. Po si può togliere. A mascherina è fondamentale, garantisce un abbattimento importante dei rischi».

Un problema grosso è la movida...

«La movida fuori controllo non ha senso, non capisco perché non si possa andare a prendere un drink in modo sicuro: vedo gruppi di ragazzi che non ce l'hanno proprio. Non è questione di imporre qualcosa ma di usare il cervello: non possiamo pensare alla mascherina in un'ottica di tifo da stadio».

Cioè?

«Mascherina sì, mascherina no. Mettiamola tutti e staremo meglio: non abbassiamo la guardia ora».

Si è abbassata la guardia anche perché la situazione negli ospedali è più calma

«In realtà in questo momento stiamo portando avanti una grande operazione di contenimento del virus che non si vede ma c'è: stiamo facendo molta più attività diagnostica oggi rispetto al mese di marzo».

Perché?

«Proprio per intercettare precocemente il virus e limitare eventuali focolai. E' una realtà che continuiamo a vivere tutti i giorni: intercettare i positivi significa anche cercarli, significa ragionare su alcuni gruppi a rischio e tornare indietro per ricostruire eventuali contagi».
 



E' un lavoro di indagine, molto complesso?
«Innanzitutto va detto che la diagnostica microbiologica in Italia è sottopotenziata. E' emerso chiaramente soprattutto nel primo periodo del Covid in Italia quando si faceva fatica a fare i tamponi. In Corea sono riusciti a fare subito tanti test ma avevano tanti laboratori, qui ne abbiamo troppo pochi».

Ora come va?

«Ora va meglio, nel mese di luglio al Gemelli abbiamo raggiunto un record con 746 test in un solo giorno. Ma dobbiamo guardare al futuro».

Teme per il prossimo autunno?

«Sì, quando bisognerà indagare su un raffreddore per capire da che virus proviene. Ma non solo: sappiamo bene che c'è sempre una nuova epidemia da affrontare, non sappiamo quanto sarà forte ma sappiamo che ci sarà. Quindi serve una rete capillare di laboratori di microbiologia in grado di gestire queste emergenze»

 

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