Palù (virologo) avverte: «Il virus è mutato, ma attenzione d'inverno diventa più pericoloso»

Il professor Palù avverte: «Il virus si è adattato a noi, ma attenzione, d'inverno diventa più pericoloso»
Il professor Palù avverte: «Il virus si è adattato a noi, ma attenzione, d'inverno diventa più pericoloso»
di Angela Pederiva
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Venerdì 9 Ottobre 2020, 09:43 - Ultimo aggiornamento: 10:43

Dunque in Veneto ora ben 9 positivi su 10 sono asintomatici, solo il 6,6% viene ricoverato e soltanto il 7,6% dei degenti ha bisogno di essere intubato. Con tutto il rispetto per i malati e per le vittime, fossero anche uno solo, la domanda è: cos'è successo al virus che sette mesi fa riempiva gli ospedali? La rivolgiamo al luminare Giorgio Palù, docente emerito all'Università di Padova, già presidente delle Società italiana ed europea di Virologia, ora consulente di Azienda Zero.

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Premesso che una cosa è il vettore (Sars-CoV-2) e un'altra è la malattia (Covid-19), è pensabile che il patogeno si sia indebolito rispetto ad allora?
«Al momento non c'è nessuna dimostrazione dell'ipotesi che una delle mille mutazioni omoplasiche del virus, avvenute nelle stesse porzioni di geni diversi, possa essere legata a una perdita di virulenza. Per affermarlo servono studi che richiedono un lungo periodo di tempo. Quindi dobbiamo confidare di più sul dato clinico, il quale ci dice che oggi in Italia il 95% dei casi attivi è costituito da asintomatici o paucisintomatici, il tasso dei ricoverati in Rianimazione è inferiore di circa 14 volte rispetto a febbraio-marzo e quello di letalità è quasi 30 volte più basso, quindi l'impatto della sindrome è diverso».

Appunto: perché?
«Non abbiamo certezze. Ma tutti i virus pandemici che hanno una letalità relativamente bassa, com'è questo che ha un tasso del 3 per mille, cercano di trovare il loro adattamento nell'uomo: in quanto parassiti obbligati, non hanno interesse a uccidere l'ospite e quindi a estinguersi a loro volta. Non a caso la maggior parte dei positivi al tampone molecolare lo risulta dopo un'amplificazione di almeno 30 cicli: a quel punto non è affatto detto che si trovi un virus replicante, forse anzi si individua un virus morto, forse solo un pezzettino di virus. Ecco perché vale la pena ricordare per l'ennesima volta che, quando si dice che una persona è positiva, non significa affermare che è malata o contagiosa». 


Ha poi un peso la carica virale, cioè la quantità di particelle del virus in un campione biologico, come può essere il muco di uno starnuto?
«Certamente.

La carica virale è fondamentale in tutti gli agenti delle malattie trasmissibili. Se ingurgito un milligrammo di amanita falloide (il fungo velenoso per eccellenza, ndr.), sopravvivo; ma se ne mangio un chilo, muoio. Ecco, lo stesso vale per il virus: se ne respiro poco, mi ammalo meno o non mi ammalo affatto ed è difficile che a mia volta io diventi contagioso. Il microbiologo Didier Raoult all'Università di Aix-Marsiglia e i ricercatori della Charité a Berlino hanno dimostrato che ci vuole almeno un milione di genomi equivalenti, cioè di particelle virali simili, per infettare qualcun altro». 

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Ma perché si è abbassata la carica virale?
«Oltre all'adattamento del virus all'uomo, hanno inciso l'estate con i raggi ultravioletti che sono virucidi e le precauzioni che abbiamo imparato a prendere, come distanze, mascherine e igiene. Però ora non dobbiamo sottovalutare la situazione, in quanto un virus a diffusione aerea qual è questo, d'inverno diventa più pericoloso a causa delle condizioni ambientali: ci ritroviamo per tutto il giorno in ambienti chiusi, l'aria ricircola all'interno senza ricambio dall'esterno, la temperatura più bassa preserva meglio il patogeno, il famoso droplet si nebulizza e, nell'incontro con l'aria fredda, si dissolve in goccioline più piccole che viaggiano a una maggiore distanza». 


Però come si spiega un caso com'è quello di Silvio Berlusconi, ora guarito, che a settembre aveva comunque una carica virale così alta da far dire al suo medico Alberto Zangrillo che «a marzo-aprile lo avrebbe ucciso»?
«Da allora abbiamo imparato a riconoscere i casi, a trattarli presto e bene con l'antivirale Remdesevir, a evitare le complicanze mortali come la tromboembolia, l'embolia polmonare, la trombofilia. Ma dobbiamo continuare mettere in atto tutte le misure utili a tenere più bassa possibile la curva dei contagi». 


Come l'obbligo di mascherina quasi dappertutto?
«All'aperto, se sto camminando in montagna da solo, non ha nessun senso indossarla. Invece in una strada affollata della movida, sarà bene usarla. Quanto ai luoghi chiusi, credo sarebbe da rivedere la distanza nei ristoranti e nei pub, perché molti sono troppo affollati. Capisco che bisogna salvaguardare l'economia, ma adesso che con il freddo non ci saranno più i plateatici, il problema si aggraverà. E non possiamo pensare che la soluzione sia il tampone salvifico con cui controllare tutti i contatti di un'infinità di asintomatici: quella è una missione impossibile. Piuttosto utilizziamo i test antigenici, come quello sulla saliva: costano poco, danno la risposta in pochi minuti e si rapportano al dato clinico».

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C'è chi rovista in borsa alla ricerca di una mascherina dimenticata (sbagliatissimo). Chi la tiene appesa al braccio (altro errore) o evita di coprire il naso (così è inutile). Ora che i dispositivi di protezione sono obbligatori sempre e ovunque bisogna organizzarsi, scegliere i modelli più adatti, indossarli correttamente e averne cura.

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