Coronavirus, avremo prima una cura o un vaccino? Esistono già 179 antidoti "candidati"

Coronavirus, avremo prima una cura o un vaccino? Esistono già 179 antidoti "candidati"
di Mauro Evangelisti
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Lunedì 6 Luglio 2020, 06:22 - Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre, 16:25

Arriverà prima il vaccino o l'anticorpo monoclonale? La domanda è quanto mai importante nel giorno in cui l'Organizzazione mondiale della sanità avverte: la pandemia è tutt'altro che finita.
Allora, partiamo dal vaccino, con la solita avvertenza: non c'è la certezza che la scienza lo troverà, soprattutto in tempi così brevi. Il colosso cinese biofarmaceutico CanSino ha annunciato che la fase due della sperimentazione del vaccino per Sars-CoV-2 su cui sta lavorando, Ad5-nCoV, è completata- Ora c'è il via libera delle autorità cinesi all'utilizzo, dai prossimi giorni, da parte dei militari per un anno.

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In Europa, il ministro della Salute, Roberto Speranza, l'altro giorno ha confermato al Messaggero che l'Italia, insieme a Francia, Germania e Olanda ha una opzione sul vaccino studiato dall'Università di Oxford, in collaborazione con la multinazionale AstraZeneca, che vede anche il coinvolgimento di Irbm di Pomezia e di una società di Anagni per l'infialamento: se il vaccino risulterà efficace (la sperimentazione è in corso) le prime 60 milioni di dosi, a fine anno, saranno somministrate al personale sanitario e ai soggetti più fragili. Il professor Guido Silvestri (virologo della Emory University di Atlanta) sulla pagina Facebook Pillole di ottimismo ricorda che ci sono in totale 179 candidati vaccini in tutto il mondo, di cui 17 in fase clinica, ma difficilmente «potremo contare su questi vaccini per contrastare una eventuale seconda ondata a dicembre-gennaio».

RISORSE
Soumya Swaminathan, chief scientist dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha spiegato che quello di AstraZeneca è il vaccino in fase più avanzata, insieme a quello dell'americana Moderna, su cui ci sono enormi investimenti economici dell'amministrazione Trump. Anthony Fauci, immunologo della task force Usa, ha spiegato che se troppe persone rifiuteranno il vaccino, non si raggiungerà comunque l'immunità di gregge: sarà necessario che almeno il 70 per cento delle persone si vaccini. Ma una lettera pubblicata sulla rivista dell'associazione dei medici americani, Jama, da Mary Marovich e John R. Mascola, del Programma di ricerca sui vaccini dell'Istituto americano per le malattie infettive (Niaid) diretto proprio da Fauci (e da Myron S. Cohen) apre un altro fronte: oltre ai vaccini, servono gli anticorpi monoclonali. Anche il professor Silvestri sostiene che, per contrastare una eventuale seconda ondata invernale, gli anticorpi monoclonali potrebbero essere un'arma già disponibile. Di fatto, sono molecole prodotte in laboratorio che agiscono con gli stessi principi degli anticorpi naturali del nostro sistema immunitario, neutralizzano il virus disinnescando la proteina Spike che usa per aggredire le cellule. Possono diventare un farmaco efficace, decisivo per Covid-19, affiancare i vaccini, ma anche, in determinate categorie come gli ospiti di una Rsa, essere utilizzati in forma preventiva. Come per i vaccini, la corsa della scienza è cominciata. Secondo molti esperti, gli anticorpi monoclonali potrebbero arrivare prima dei vaccini. Multinazionali del settore della ricerca e della biofarmaceutica, sono già in campo. Qualche settimana fa il gruppo Eli Lilly ha annunciato che il suo partner Junshi Biosciences «ha somministrato un potenziale trattamento con un anticorpo neutralizzante sviluppato contro il Covid-19, al primo volontario», «questo è il secondo anticorpo neutralizzante di Lilly che entra negli studi clinici, dopo LY-CoV555 che recentemente è entrato nella Fase 1 e che attualmente si sta testando in pazienti Covid-19 ospedalizzati». Un altro studio molto promettente è quello dell'Università di Tor Vergata, in collaborazione con Spallanzani, ma anche con team del Canada, degli Stati Uniti e dell'India.

LA CORSA
A guidare la ricerca è il genetista Giuseppe Novelli, che spiega al Messaggero: «Ci sarà bisogno dell'anticorpo monoclonale anche quando avremo il vaccino. La ragione è molto semplice: supponendo che funzioni, quando tu ti vaccini passa del tempo, la reazione non è immediata, se c'è una epidemia in corso come fai? Bene, gli anticorpi monoclonali funzionano come immunità passiva, ti fornisce una protezione di due-tre mesi. E l'anticorpo però è anche una cura, per chi è malato. Siamo ancora in fase di studio, sia chiaro, perché facciamo agire il monoclonale contro un target esterno, la struttura Spike del virus, le impedisce di attaccarsi alle cellule».
Quanto tempo servirà per potere usare l'anticorpo monoclonale? «Sei mesi.

Ci sono dieci gruppi nel mondo, in Usa, Cina, Olanda, Israele, Italia, molto agguerriti, che stanno lavorando, investendo, anche producendo. Per quanto riguarda il mio gruppo, in vitro gli esperimenti hanno dato un esito ottimo. Funzionano in provetta. Ora dobbiamo sperimentarlo sui volontari, ma per farlo devo produrre il farmaco e stiamo chiedendo aiuto a varie istituzioni pubbliche e private. Servono finanziamenti, non possiamo perdere questa grande occasione. Come dice Fauci, la strada prioritaria è questa, perché i tempi degli anticorpi monoclonali sono molto più rapidi rispetto al vaccino».

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