Coronavirus, l'infettivologo: «Non si potrà ricominciare come prima: per viaggi e cene ci vorrà ancora tempo»

Coronavirus, l'infettivologo: «Non si potrà ricominciare come prima: per viaggi e cene ci vorrà ancora tempo»
di Raffaella Troili
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Giovedì 9 Aprile 2020, 08:36

Professor Roberto Cauda, infettivologo del Policlinico Gemelli, il picco è stato raggiunto ed è alle spalle? I dati sembrano dire così.
«L'impressione è che anche nel Lazio c'è una progressione in discesa, il picco è stato raggiunto verosimilmente, questo trend fa ben sperare, ma bisogna usare la massima cautela, nessuno sa dire quando tutto questo finirà. La normalità manca anche a me».

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Ora cosa ci aspetta?
«Nonostante prima il nostro obiettivo fosse il picco, oggi quello che sentiamo di più è raggiungere la fase due, per motivazioni giuste, psicologiche, non è gradevole questo momento dal punto di vista umano, affettivo, economico. Le giornate sono belle, la Pasqua si avvicina. In questi casi qualsiasi tipo di musica, può aiutare».

E' dura, resistere...
«Proprio per questo dobbiamo attaccarci ai numeri, per dire sta andando meglio, non possiamo prendere alcuna mossa dobbiamo dare una mano a chi decide con il nostro senso di responsabilità. Dunque restiamo a casa e usiamo tutti i mezzi in nostro potere per evitare il contagio. La spesa ogni tanto, la mascherina, lavare le mani, una sorta di protezione collettiva».

Solo così forse se ne esce.
«E' una fase delicata, le singole regioni possono mostrare differenze, ma i pronto soccorso sono meno affollati, c'è meno pressione anche all'interno delle Rianimazioni, aumenta il numero dei guariti, lentamente anche il numero dei morti. Dobbiamo tornare al punto di partenza, come si dice nel gioco dell'Oca».

I tamponi restano una prova valida, nonostante i casi di recidiva?
«Se il tampone è negativo può esserci il dubbio, se è positivo la questione non si pone, al 75/80%o sono veritieri. Emergono situazioni in cui il virus rimane più a lungo, cosa voglia dire non lo sappiamo».

Si parla di fase 2, dicevamo.
«L'apertura è una decisione più delicata della chiusura, ti giochi molto se sbagli la mossa. Le aperture andranno fatte quando la situazione epidemiologica lo consente, tenendo presente la sicurezza di chi sta andando a lavorare. Ripeto, se la fase 2 è imminente, l'aspetto dei soggetti che poi rientrano nelle case va valutato con attenzione, in primo luogo per le scuole».

Come valuta questi numeri meno paurosi.
«La salita e la discesa seguono una curva gaussiana, salita ripida, picco, progressiva discesa, man mano che si riduce si riducono i contagi. La discesa ci sembra lenta ma in realtà lenta non è».

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Ma come sarà la nostra normalità a medio termine?
«Normalità è una parola grossa, non è pensabile perché sarebbe estremamente pericoloso e dannoso, che il D-day possa essere interpretato come un tana libera tutti, ora ricominciamo a fare la vita di sempre. La normalità andrà di pari passo con quello che facciamo noi, con i nostri comportamenti e quelli dei nostri vicini. E' chiaro che questo non può durare a lungo, deve essere in qualche modo allentato, un poco alla volta. Ci sono attività che ripartiranno prima altre dopo, la normalità dei viaggi non la raggiungeremo immediatamente, come quella della cena tra amici. Perché questo virus si trasmette per via aerea e rende il controllo più difficile. Oltre al fatto che un ruolo importante è svolto dagli asintomatici».

Torneremo alla vita di prima?
«Se lo domandano tutti, sì ci torneremo ma non so dirle quando. Progressivamente, sicuro. Ci sarà una fase dove si porranno problematiche economiche, lavorative, disagi nel nostro modo di vedere e agire, sarà un periodo diverso».

C'è da rivedere qualcosa per il futuro?
«Una morale, una lezione da trarre è che una volta passato tutto bisognerà ripensare la tipologia dell'assistenza dei medici di medicina generale: creando una rete sul territorio che possa far fronte alla quotidianità e a una possibile nuova emergenza».

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