Coronavirus, l'epidemiologo: «Ripartenza diversificata per macroaree, ai territori con più casi serve più tempo»

Coronavirus, l'epidemiologo: «Ripartenza diversificata per macroaree, ai territori con più casi serve più tempo»
di Graziella Melina
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Martedì 21 Aprile 2020, 06:37 - Ultimo aggiornamento: 11:22

Se la diffusione dell'epidemia da coronavirus non è omogenea, il rompicapo non è solo degli epidemiologi che devono calcolare le varie curve, ma soprattutto di chi dovrà decidere una data utile per la riapertura. Pier Luigi Lopalco, professore di Igiene generale e applicata all'università di Pisa e responsabile del coordinamento per le emergenze epidemiologiche della Regione Puglia, riflette: «Potrebbe capitare che una regione corre di più e spegne più velocemente i focolai, mentre un'altra li spegne meno velocemente. Laddove ci sono più casi, ci vuole più tempo, questo è evidente».

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Si può ipotizzare una ripartenza graduale diversificata?
«Se in termini sia epidemiologici che di capacità alla risposta di adeguatezza ci fossero delle forti differenze tra regioni, non la escluderei. Dal punto di vista puramente tecnico scientifico, bisognerebbe però ragionare in termini di macroaree. Ma non so se a livello politico potrebbe essere accettabile una situazione di questo genere».

Perché?
«E' oggettivamene complessa e complicata da realizzare. Allentare il lockdown significa anche interferire sulla mobilità. Noi abbiamo attività produttive molto interconnesse tra le varie regioni, per cui bisogna vedere se è possibile programmare riaperture diverse».

Lei sostiene che arrivare a contagi pari a zero non basta per allentare le misure restrittive. Perché?
«E' dall'insieme di diversi indicatori che si può dire se un processo è funzionante oppure no. Sarebbe importante che molto presto si potesse fare una valutazione del genere per andare a verificare la capacità territoriale di risposta, di preparazione ad una seconda ondata. Fase due, dal punto di vista sanitario, significa infatti prevenzione, non riapertura».

Quindi non vuol dire che l'abbiamo scampata?
«Assolutamente no. Se noi, ad un certo punto, troviamo zero contagi, ci dobbiamo piuttosto chiedere se questo si verifica perché non siamo riusciti a trovarli. Paradossalmente, zero casi non è un buon indicatore».

E per trovarli servono dunque tamponi a tappeto?
«No. Le regole sono sempre le stesse, come indicato dall'Oms: identificare i casi, isolarli, tracciare i contatti».

Il nostro sistema sanitario territoriale è in grado di farlo?
«Per saperlo è importante che i Dipartimenti di prevenzione ci dicano, adesso, se sono in grado di monitorare i contatti, oppure se hanno bisogno di altro personale per fare tracciamento».

I tagli alla sanità degli ultimi anni non hanno risparmiato nemmeno loro.
«Proprio per questo, ritengo che il sistema debba essere rafforzato. Sul territorio occorre andare a contattare centinaia di persone. Noi guardiamo quello che fanno in ospedale, ma non quello che svolgono i dipartimenti in questo periodo».

E nel frattempo che facciamo?
«Col virus dobbiamo convivere e per convivere in tranquillità serve un lavoro di preparazione. Se noi adesso riapriamo senza valutare questa capacità a livello territoriale, in base a quale principio non dovremmo avere una seconda ondata?».
 

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