Prendete, per esempio, Giulio Tremonti e Nichi Vendola: era il 2010-2011. «La Puglia è come la Grecia», smitragliava il ministro dei conti berlusconiano, a proposito del deficit sanitario regionale e alludendo al default ellenico. «La spesa delle risorse è come dentro una tenaglia», rimbeccava poi il governatore-poeta, chiedendo di sbloccare la quota del Fas. Muro contro muro. Qui, intanto, da sbloccare c’è un ricordo: il Fas, appunto. Fondo aree sottoutilizzate, risorse di coesione nazionali, terreno di aspre contese tra governi e Regioni meridionali. Il Fas in quegli anni era una specie di litania: dateci il Fas, col Fas possiamo cambiare le sorti del Sud, il Fas scippato per le quote-latte del Nord. Da un decennio il Fas ha un erede: si chiama Fsc, Fondo per lo sviluppo e la coesione, in queste settimane nuova materia d’attrito, sempre tra centro e periferia. La sostanza però non cambia: fondi statali, con criteri e tempistiche di spesa più elastici rispetto alle risorse comunitarie, rifugio (anche) per i preziosi “progetti sponda”.
Anche con il Fsc c’è l’eterno ritorno delle solite divergenze: governo contro Regione, neo-centralismo di là e spesa delocalizzata di qua.
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