Quando l'idea di un viaggio diventa un motivo di ansia

Quando l'idea di un viaggio diventa un motivo di ansia
Quando l'idea di un viaggio diventa un motivo di ansia
di Mauro Evangelisti
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Sabato 8 Febbraio 2020, 13:09 - Ultimo aggiornamento: 13:15
Fino a qualche settimana fa c'era una soluzione, un calmante per le nostre giornate agitate: il viaggio, anzi la prospettiva di un viaggio. Lavoro, traffico, rubinetti che perdono, auto dal meccanico, cartelle esattoriali: vada come vada, tra un po' salgo su un aereo o prendo un treno e parto. Il viaggio, anzi la prospettiva di un viaggio, aveva un effetto salvifico e ritemprante. Oggi il viaggio, anzi la prospettiva di un viaggio, è moltiplicatore di ansia, una soluzione da rimandare o cancellare. Irrazionalmente, sia chiaro, perché nulla ci impedisce di viaggiare.

Però anche le notizie ufficiali e non dopate, sulla diffusione del coronavirus e sulle misure di prevenzione, ci inducono a depennare (irrazionalmente) tutte le destinazioni asiatiche. Non solo: anche viaggiare in Europa (irrazionalmente) ci angoscia, perché pensiamo che dobbiamo entrare in un aeroporto e salire su un aereo: gli esperti ci dicono che non ci sono rischi, ma abbandoniamo la pagina della prenotazione del volo e ci diciamo aspetto qualche mese. Poi, drammatiche, arrivano le notizie del treno dell'alta velocità deragliato con il dolore per chi ha perso la vita, e aumenta la nostra diffidenza verso i viaggi. Eppure, sappiamo benissimo che il treno resta uno dei mezzi di trasporto più sicuri.
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