Willy, il fratello maggiore dei due "pugili": «Devono pagare ma il colpo mortale non è il loro»

Willy Monteiro, il fratello maggiore dei due pugili: «Hanno sbagliato, devono pagare ma il colpo mortale non è il loro»
​Willy Monteiro, il fratello maggiore dei due pugili: «Hanno sbagliato, devono pagare ma il colpo mortale non è il loro»
di Alessia Marani
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Martedì 8 Settembre 2020, 00:44 - Ultimo aggiornamento: 14:34

Alessandro Bianchi, 33 anni, il fratello maggiore di Gabriele e Marco i pugili accusati dell’omicidio del giovane Willy Monteiro Duarte a Colleferro, si affaccia da dietro l’enorme cancellata nera della villa di famiglia nella campagna alle porte di Artena. Al posto delle maniglie, ci sono due grandi lettere, la “F” e la “B” che indicano “famiglia Bianchi”, stagliate in un enorme sole inciso sul ferro. Dal giardino spiccano palme regina alte più dieci metri, sembra una piccola Hollywood dove proprio non te l’aspetti. Protetta dalle telecamere. 

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«Non fatevi ingannare - puntualizza subito Alessandro - dentro, la costruzione è ancora grezza e i lavori li stiamo facendo di anno in anno con mio padre che è del mestiere». Poi il viso si fa cupo, gli occhi lucidi, perché i suoi fratelli sono in carcere e un altro giovane non c’è più. Alessandro in tanti, troppi, dicono che questa morte si poteva evitare. Che Gabriele, Marco e i loro amici andavano in giro a picchiare la gente che erano una banda di più persone e che prima o poi sarebbe successo.



«Non dico che i miei fratelli siano santi, hanno fatto stupidaggini, scazzottate. Hanno una loro comitiva ma non sono i “capi bulli” di nessuno. Non potrei mai pensare che abbiano ucciso e infierito su un ragazzetto come Willy, che lo abbiano addirittura colpito quando lui era a terra, tutti contro uno. Io so che non può essere così e sono convinto e confido che venga dimostrato, che il colpo mortale, forse un calcio alla bocca, non l’hanno sferrato loro. Però una cosa voglio che sia chiara: se Gabriele e Marco hanno sbagliato, devono pagare fino in fondo».
 

Willy Monteiro, cosa è la MMA: "Si può colpire chi è a terra. In mano a un kamikaze diventa un'autobomba"

acronimo di Mixed Martial Arts, ossia Arti Marziali Miste.

Questa la disciplina praticata dai due fratelli arrestati per la morte di Willy Monteiro Duarte a Colleferro . Per comprendere di cosa si tratta, abbiamo raggiunto Enrico Luciolli, esperto di arti marziali con 26 anni di percorso e carriera, nonché creatore di InWarrior, sistema di combattimento per la Difesa Personale.


Quella notte, i carabinieri sono venuti nel suo bistrot, ad Artena, a cercare i suoi fratelli e i loro amici, lei era presente?
«È arrivato un maresciallo dei carabinieri. La Q7 su cui erano stati visti i miei fratelli è intestata a mia moglie, forse è per questo che sono risaliti a me. Quasi contemporaneamente, i ragazzi stavano parcheggiando l’auto sulla strada. Li ha invitati a entrare e si è preso un caffè con loro e dopo hanno iniziato a parlare, ormai si stava facendo mattina. Sentivo qualcuno che diceva agli altri “di’ la verità”. Io avevo capito che c’era stata una scazzottata, poi il maresciallo ha chiesto a mio fratello e ai ragazzi di risalire in auto e di andare con lui in caserma a Colleferro per accertamenti. Solo dopo abbiamo ricevuto una telefonata dai carabinieri e abbiamo capito che c’era stato un morto».

Ma perché i suoi fratelli sono andati a Colleferro. Conoscevano Willy?
«No, immagino proprio di no. Gabriele e Marco avevano cenato nel mio locale con le loro compagne. Poi hanno ricevuto una telefonata dai loro amici, non ho capito se quando erano ancora al locale o dopo che erano già partiti per Colleferro. Credo che Pincarelli e Belleggia abbiano invocato il loro aiuto perché qualcuno li stava picchiando. E i miei fratelli sono corsi».

I suoi fratelli, però, sono boxeur esperti, praticano la Mma, una disciplina dura in cui si combatte con calci e pugni. Se picchiano sono pericolosi...
«Facevano palestra, si pavoneggiavano, ma era tutta apparenza, pure quelle frasi postate sui social che voi giornalisti avete riportato: solo frasi di trapper. Loro a uno come Willy probabilmente l’avrebbero difeso».
 

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ROMA "Un calcio sul petto, sferrato con una violenza inaudita", i testimoni, a verbale, hanno raccontato la ferocia del pestaggio e la brutalità con la quale il branco si è accanito contro .


Ma Willy questo non può più saperlo...
«È vero. Noi tutti in casa siamo avviliti, addolorati per quel che è successo. Non pensiamo ad altro che a quel ragazzo e alla sua famiglia. Ho un altro fratello che non si dà pace, mia madre è dentro che si dispera e si sente male, c’è un dottore proprio ora con lei. Willy poteva essere un altro fratello più piccolo o il cuoco del mio locale. Se servisse a qualcosa per tornare indietro o solo per lenire la sofferenza di qualcuno io andrei adesso stesso a farmi linciare davanti la loro casa. Darei la mia vita per quella di Willy».

I genitori di Willy hanno detto che non cercano vendette, il papà e la mamma vogliono solo giustizia.
«E giustizia deve essere fatta per questo ragazzo. La verità dovrà essere stabilita. Nel frattempo quelli che accusano i miei fratelli di odio e violenza stanno dando il peggio di sé: hanno riempito di insulti e minacce me e mia moglie, sui social, ovunque, persino mia figlia che è una bambina. Voglio dire a questa gente di non prendersela con lei o con la mia famiglia, non fate loro del male».
 

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