Uomini a "scuola" di sentimenti. La psicologa: «Serve un'educazione affettiva per tutti, specie per i giovani»

Uomini a "scuola" di sentimenti. La psicologa: «Serve un'educazione affettiva per tutti, specie per i giovani»
Uomini a "scuola" di sentimenti. La psicologa: «Serve un'educazione affettiva per tutti, specie per i giovani»
di Valeria Arnaldi
4 Minuti di Lettura
Lunedì 16 Maggio 2022, 10:59

Sentimenti e affettività sono materie di studio in appositi corsi riservati agli uomini, che si stanno diffondendo in più Paesi, europei e non solo, anche come effetto del MeToo. Obiettivo, aiutare la riscoperta dell’identità maschile in un periodo di “crisi”. In Italia, l’attenzione si punta sull’indagine delle emozioni e sull’educazione a un differente rapporto con le donne, anche come strumento - per le nuove generazioni e non solo - per contrastare la violenza di genere.

Marta Giuliani, consigliera dell'Ordine Psicologi del Lazio e coordinatrice del gruppo di lavoro Psicologia e Sessualità, corsi per aiutare l'uomo nel recupero della sua identità maschile servirebbero anche nel nostro Paese?

«Non sono certa che un corso rivolto esclusivamente a questo aspetto possa davvero cogliere e intervenire efficacemente su un qualcosa di più profondo e radicato come i pregiudizi e i copioni sessuali maschili e femminili, retaggio di una cultura che ha tramandato un’idea passiva della sessualità femminile.

Penso piuttosto che, per essere davvero efficaci, dovremmo prevedere un’educazione affettiva rivolta a tutti – soprattutto ai giovani che stanno formando la loro identità sessuale – improntata al rispetto dell’altro e al riconoscimento della reciprocità come elemento chiave della relazione».

L'identità dell'uomo contemporaneo è effettivamente "schiacciata" dalla maggiore presa di coscienza delle donne?

«Fino a pochi decenni fa è sempre stato tramandato il messaggio che fosse l’uomo, in ambito sessuale, a prendere l’iniziativa, a condurre il gioco. Oggi, fortunatamente, questa rigidità non esiste più ma in mancanza di competenze relazionali-empatiche specifiche e di modelli di relazione positivi fin dall’infanzia alcuni uomini rischiano di assumere atteggiamenti disfunzionali che vanno dall’ansia da prestazione a veri e propri atteggiamenti di prevaricazione».

In Italia ci sono corsi riservati agli uomini che insegnano a relazionarsi con le donne.  In che modo si può educare in tal senso?

«Il cambiamento deve essere radicale e generalizzato. Specifici programmi di educazione e prevenzione sono fondamentali ma a questi dovrebbe essere accostata una trasformazione di prospettiva di tutta la collettività nelle sue diverse declinazioni sociali: nella scuola, in famiglia, nei media, nelle istituzioni. È centrale comunicare che il corteggiamento e l’intimità non possono fondarsi su rapporti di potere ma possono essere considerati sani solo quando si basano sul rispetto, con una condivisione degli intenti ed un’esplicitazione reciproca del gioco».

Come ha inciso e sta incidendo il  Me Too sulle nuove generazioni?

«Il movimento MeToo ha permesso di portare alla luce la non-cultura del legame in cui siamo ancora immersi, dove i confini tra reciprocità e prevaricazione sono ancora sorprendentemente poco delineati. Ha dato voce alle donne in tutti quei contesti, come il lavoro, in cui le dinamiche di relazione sono permeate da interferenze di potere e di ruolo che spesso le fanno sentire “in gabbia”, senza via di uscita». 

Quanto accaduto durante il raduno degli alpini cosa ci dice sulle battaglie ancora da affrontare?

«C’è ancora tanto da fare, iniziando dal messaggio che esistono delle chiare distinzioni tra corteggiamento e molestia che sono il consenso e l’asimmetria. Il flirt è un gioco relazionale che avviene in un contesto chiaro e riconoscibile, mentre nel cat-calling c’è una vera e propria oggettivazione sessuale della donna che può reagire con forti sentimenti di paura, ansia e rabbia».

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