Ultrà laziale arrestato e subito scarcerato: «Ma è stato riconosciuto» `

Ultrà laziale arrestato e subito scarcerato: «Ma è stato riconosciuto» `
di Marco Carta
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Giovedì 10 Gennaio 2019, 09:02
Ha lanciato bastoni, sassi, bottiglie lanciate contro la polizia. Ma il giudice che ha convalidato il suo arresto lo ha lasciato libero di tornare a casa. Senza alcuna misura cautelare in attesa del processo. Quasi un controsenso vista la gravità delle accuse. È così che ieri mattina a piazzale Clodio si è chiusa la direttissima nei confronti Simone Donati, il tifoso della Lazio arrestato per resistenza a pubblico ufficiale dopo i disordini nel quartiere Prati provocati dai supporters biancocelesti al termine dei festeggiamenti peri 119 anni della società sportiva Lazio.

IL PROFILO
Trentatré anni, cassiere di supermarket nel fine settimana e un diploma da perito elettronico nel cassetto. Tanti lavoretti saltuari per sbancare il lunario, fra cui il volantinaggio. E l'amata Lazio, la squadra del cuore, per la quale sarebbe arrivato a sfidare le forze dell'ordine. «Non ho fatto niente. Io non c'entro nulla». Rispondendo alle domande degli inquirenti, Donati ha detto di essere un semplice tifoso sceso in piazza della Libertà per festeggiare il compleanno della Lazio. Non propriamente un ultras della frangia più estrema. Ma per gli agenti di polizia del commissariato Prati avrebbe avuto un ruolo di primo piano nella guerriglia urbana al termine delle celebrazioni. Insomma, lui, come altri in attesa di riconoscimento, sarebbe uno dei duri e puri della tifoseria biancoceleste. Tanto da essere stato riconosciuto al pronto soccorso dell'ospedale Santo Spirito, dove a distanza di ore, Donati si era recato insieme alla compagna per farsi medicare una ferita al sopracciglio destro. «Me la sono procurata cadendo. C'è stata una carica, ho provato a scappare e sono inciampato». Donati subito dopo gli scontri in piazza della Libertà era tornato nella sua casa di Ponte Milvio. Poi, vedendo che la perdita di sangue non cessava, è andato in ospedale, dove, oltre ai medici, ha trovato gli stessi agenti che avrebbe aggredito: «Tu adesso devi venire con noi».

IL PROCESSO
Secondo l'accusa, il cassiere, senza precedenti specifici, avrebbe lanciato «bastoni, sassi e bottiglie in direzione degli agenti», come si legge nel capo d'imputazione, asportando poi «sedie di metallo per lanciarle verso gli stessi». Ad incastrare il giovane è stata la testimonianza di uno dei poliziotti che nel corso dell'udienza ha detto di averlo visto all'azione nel corso di un vero e proprio agguato contro le forze dell'ordine. «Quando l'atmosfera è diventata calda abbiamo fatto una carica». L'obiettivo dei poliziotti è quello di far disperdere la folla, facendo defluire i tifosi sul lungotevere. La situazione, però, degenera. Un piccolo gruppo, composto da trenta/quaranta tifosi, prende di mira i poliziotti, lanciando oggetti di ogni tipo: sassi, bastoni, bottiglie. E anche sedie di metallo: «Erano tutti incappucciati» assicura l'agente in aula. E con loro, secondo la sua testimonianza, c'è anche Simone Donati, che però ha il volto scoperto e quindi viene riconosciuto. Il 33enne, difeso dall'avvocato Mariuccia Napoli, in più occasioni afferma di essere estraneo agli scontri. Ma il giudice non può che convalidare il suo arresto. Le testimonianze lo inchiodano. Ma Donati a fine udienza è di nuovo libero. Senza alcuna misura cautelare in vista del processo che avrà inizio il prossimo 2 maggio.
 
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