Roma, medici no vax: «Le Asl non ci comunicano i nomi». C'è il rischio ricorso

Roma, medici no vax: «Le Asl non ci comunicano i nomi». C'è il rischio ricorso
Roma, medici no vax: «Le Asl non ci comunicano i nomi». C'è il rischio ricorso
di Francesco Pacifico
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Venerdì 20 Agosto 2021, 07:22

«Le Asl non ci comunicano i nomi dei medici che non si sono vaccinati. L'hanno fatto soltanto in parte le aziende sanitarie di Frosinone e Viterbo». Questa la denuncia del presidente dell'Ordine dei medici di Roma, Antonio Magi. E tanto basta per mettere a rischio le sospensioni dei medici no vax. Infatti per rendere pienamente operativi i provvedimenti delle Asl manca l'ultimo passaggio, cioè la comunicazione agli organi di categoria (Ordine dei medici o degli infermieri), che prendono atto di questa decisione. E senza questo passaggio, aggiunge Magi, «si può fare più facilmente ricorso contro la misura di sospensione. Che si impugna al Tar in quanto parliamo di un atto amministrativo, non di fronte alla Cceps (Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie) istituita presso il ministero della Sanità». Quindi un consesso che si muove con un diverso approccio, più formale e meno legato alle esigenze di salute pubblica.


Nel Lazio, stando alle ultime dichiarazioni dell'assessore alla Sanità, Alessio D'Amato, sono 2.300 i medici che non si sono vaccinati.

Ma la stragrande maggioranza di loro l'avrebbe fatto per motivi di salute: sono soggetti che soffrono o hanno sofferto di patologie immunodepressive, che impediscono loro di reggere le controindicazioni dei vaccini. Poi - ma un numero preciso ancora non c'è - si sarebbero 300 sanitari, quindi anche infermieri, convintamente no-vax: che hanno scelto di non immunizzarsi perché non credono in questo strumento. A quanto si stima, la maggior parte dovrebbe lavorare presso strutture private o svolgere la libera professione.


Tolleranza zero - Nonostante D'Amato abbia promesso tolleranza zero, al momento i provvedimenti di sospensione non raggiungono i trenta casi. E di questi una decina sono stati comminati dall'Asl Roma 5, che gestisce oltre 70 comuni a sud della Capitale. Per il resto, questo dossier è ancora fermo. E lo è nel momento in cui è scattato l'obbligo del Green pass anche per gli operatori sanitari. E qui entra in gioco anche il ruolo dell'Ordine.
Stando a quanto prevede il decreto legge 44 Covid, proprio gli Ordini (dei medici e degli infermieri) comunicano i nominativi dei propri iscritti alla Regione. La quale gira questi dati alle Asl, che - confrontandoli e incrociandoli con le informazioni prese dall'anagrafe vaccinale - verifica se i sanitari si sono immunizzati oppure no. In caso contrario, le aziende sanitarie scrivono ai professionisti e chiedono entro cinque giorni o di vaccinarsi oppure di motivare il loro diniego. Se non ci sono giustificazioni di natura medica, le Asl avvertono i datori di lavoro (ospedali o cliniche private) e ottengono o l'allontanamento dai presidi medici dove c'è contatto con i pazienti oppure la sospensioni delle mansioni e dello stipendio.
Parallelamente - ecco l'ultimo tassello che è decisivo nel blindare questi provvedimenti - le Asl comunicano le loro decisioni agli Ordini competenti (medici e infermieri in primis), che riuniscono il loro consiglio, prendono atto della cosa e notificano agli interessati la cosiddetta sospensione dall'attività di contatto con i pazienti, che di solito rientra quando il sanitario no vax decide di completare la vaccinazione. Secondo Magi, «la mancata comunicazione dell'Ordine, pur essendo una presa d'atto formale, potrebbe inficiare i provvedimenti delle Asl, se medici o infermieri decidessero di ricorrere al Tar entro 60 giorni, come prevede la legge. Rischiamo di mandare tutto all'aria per una distrazione. Che si potrebbe evitare semplicemente comunicandoci i nomi dei professionisti sospesi».

 

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