Roma, madre scagionata: «Non tentò di uccidere la figlia». Lei: «Non vedo i miei bimbi da 2 anni»

La donna accusata di aver iniettato un farmaco alla piccola durante il ricovera all'Umberto I di Roma.

Roma, madre scagionata: «Non tentò di uccidere la figlia». Lei: «Non vedo i miei bimbi da 2 anni»
di Adelaide Pierucci
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Martedì 26 Ottobre 2021, 07:36

Quella mano che indugiava sotto le coperte era forse un gesto d'amore, una carezza. E invece è stata scambiata per un atto di morte: un movimento per nascondere una siringa che iniettava ripetutamente un potente farmaco antipilettico, in un reparto del Policlinico Umberto I. Un gesto che ha fatto precipitare una mamma di 30 anni in un'odissea giudiziaria: prima l'arresto, la richiesta di 10 anni di carcere, la successiva condanna a 4 anni in abbreviato per tentato omicidio e soprattutto l'allontanamento dalla sua bambina, di 7 anni, per ventotto mesi.

Roma, iniettava psicofarmaci alla figlia disabile: condannata a 4 anni

Ora I giudici d'appello hanno rivalutato gli elementi e l'hanno assolta con formula piena. «La mia vita intanto è stata rovinata - si dispera ancora la donna - Mia figlia ogni sera ha dato la buonanotte a una piantina, chiamandola mamma. All'inizio, peggio ancora, pensava che fossi morta. Invece mi veniva impedito di vederla».
L'allarme, nel reparto Pediatrico dell'Umberto I, era scattato poco la notte dell'8 maggio del 2019.

La donna, sposata con un ufficiale delle forze armate, era stata arrestata, però, due mesi dopo. Erano stati sentiti medici e infermieri, pediatri e anestesisti, persino la maestra. «Ho sempre curato la mia bambina con la massima dedizione - ha continuato a ripetere inascoltata l'indagata - Avevo le mani sotto le lenzuola per accarezzarla».

Sotto le lenzuola i medici, però, avevano recuperato una siringa, mai repertata, con la quale la donna, secondo quanto dedotto dagli accertamenti biologici successivi, avrebbe sottoposto la piccola a più iniezioni di Lamictal, una maxi dose di psicofarmaci. Il perito del pm aveva stabilito che quel dosaggio, cinque volte superiore a quello tollerabile, avrebbe provocato nella bambina prima uno stato febbrile, gravi sintomi neurologici e cardiologici, poi perdite di coscienza, alternati a stati soporiferi o di agitazione. Subito dopo la sentenza di primo grado, che derubricava il tentato omicidio in lesioni gravi, gli avvocati difensori, Savino Guglielmi e Francesca Rossi, avevano dato subito per scontato l'appello: «Le accuse sono infondate. Dal fascicolo emerge piuttosto un errore sanitario. Lo proveremo». E adesso che la donna è stata assolta con formula piena commentano: «È giusto e doveroso che il Tribunale dei minori interrompa subito il supplizio dell'allontanamento dai figli. La prima ha subito una choc, il più piccolo, che non ha ancora 3 anni, non ha mai pronunciato la parola mamma». Una famiglia smembrata dal dubbio e divisa da un giorno all'altro. Alla donna era stata sospesa la potestà genitoriale il giorno dell'iscrizione sul registro degli indagati. Il capitolo del carcere e degli arresti domiciliari. La concessione di poter vedere i figli tramite videochiamate e poi in incontri protetti è arrivata solo dopo una estenuante battaglia legale.

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