Roma, la Capitale piange Gigi Proietti: «Era un patrimonio di tutti». Il suo nome per il Globe Theatre

Roma, la Capitale piange Gigi Proietti: «Era un patrimonio di tutti». Il suo nome per il Globe Theatre
di Raffaella Troili
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Martedì 3 Novembre 2020, 09:47

Se tutta Roma sente che era figlio suo, ok: Gigi era di tutti. E se ogni quartiere rivendica il suo passaggio e ora lo piange come non fosse mai andato via, perché i legami non li ha mai recisi, anche questo è chiaro: Proietti è un patrimonio collettivo che ha sparso molto più che tante risate. E se alle 20 scossi e timidi si esce sul balcone si guarda il cielo cupo e si applaude il Maestro in cielo vuol dire solo «grazie, grazie del divertimento, ci mancherai». Grande e umile se nello stesso istante la sua foto viene proiettata da Acea sulla facciata di Campidoglio e Colosseo. Proietti era romano e della Roma eppure è difficile trovargli radici, perché figlio di Romano un portiere tutto fare di un palazzo patrizio di via Giulia arrivato dall'Umbria, lasciò il centro a 10 mesi, avevano ottenuto una casa popolare in via Capraia al Tufello «e papà ballava dalla gioia» come avesse vinto i mondiali. Ma prima c'è la guerra un passaggio a Porchiano, un altro a via Annia in una casa crepata con vista Colosseo, un altro pertugio a via Veneto, poi il Tufello: Luigi cresce tra un padre comunista e una madre che lo spinge in chiesa, alla Santa Assunta. Vivace, diciamo anche intemperante, travolgente.

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Da don Parisio, riceverà un pizzone, eppure sarà lo stesso parroco a non saper trattenere le risate quando chierichetto gli prese fuoco una candela in mano e invece di soffiare il piccolo Proietti emise una pernacchia, «il mio primo grande successo comico».

Per non parlare di quando arrivò la Madonna pellegrina al Tufello e la mamma Giovanna vinse la riffa per tenerla dentro casa, col padre dal cuore rosso fuoco che mugugnava. Proietti al Tufello scrive di aver capito la differenza tra povertà e miseria, «nella povertà c'è la speranza, nella miseria la rassegnazione e l'abbandono». Altra stagione, ecco Gigi Proietti approdare con la famiglia all'Appio all'Alberone, frequenta il liceo classico Augusto (ha partecipato fino all'ultimo alle riunioni degli ex alunni; ha finanziato la ripiantumazione del primo alberone...), è nella sezione H. Non è una sezione a caso, sono tutti delle teppe e lui ci si trova benissimo. Nel 56 passeranno alla storia del liceo dell'Appio perché durante uno sciopero per la mancanza dei termosifoni diedero fuoco ai banchi. Lui si occupava di una pagina del giornalino della scuola in cui in un latino maccheronico prendeva in giro prof e compagni. E poi qui ci sono le prime ragazze, i primi amori. Scriverà una poesia semiseria su di loro. Intanto decolla con spettacoli ed esibizioni. È quello il suo mondo, ormai è chiaro. Agli spettacoli di inizio anno quando arrivano le ragazze della sezione femminile dà il meglio di sè. Ora l'associazione ex alunni sta valutando la proposta arrivata da più parti di intitolare l'Augusto anche a Proietti. Mentre prende corpo l'idea di dare il suo nome alla sua creatura shakespeariana, il Globe Theatre di Villa Borghese.

 



Arriva il successo, si consolida. Lui resta uguale, scanzonato e verace. Sulla Cassia nel suo buen retiro dove ora alla spicciolata c'è chi lascia messaggi e fiori sul cancello di Mandrake, lo ricordano schivo e riservato. È il suo grande amore la moglie Sagitta Alter a comprargli le scarpe «se non vanno bene le riporto», lui, Gigi, telefona alla libreria vicino casa per sapere se sono disponibili titoli di Shakespeare in varie traduzioni, poi passerà la moglie (anche Shakespeare è morto nello stesso giorno in cui è nato, ndr). «l'Ultimo dei Mohicani»; «persona semplice tranquilla senza fronzoli come dovremmo esser tutti quanti», lo ricordano i negozianti. Il fioraio davanti casa ricorda: «di solito mandava a prendere i fiori mentre ultimamente veniva lui». Come a San Valentino: 12 rose rosse per la moglie. «Un cliente gli chiese un consiglio: quale colore di orchidea si addice per una persona che fa teatro?» E lui, sembra di sentirlo, romano dell'Appio, del Tufello, del centro e di tutti: «Quella che vuoi, basta che lo fai con il cuore».

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