Reddito di cittadinanza, 700 sotto inchiesta: «Documenti falsi per averlo»

Nelle liste decine di finti bisognosi, ma anche condannati per mafia e terrorismo. Sotto inchiesta il dipendente di un Caf: ha aiutato 100 persone ad “aggiustare” i moduli

Reddito di cittadinanza, 700 sotto inchiesta a Roma: «Documenti falsi per averlo»
Reddito di cittadinanza, 700 sotto inchiesta a Roma: «Documenti falsi per averlo»
di Michela Allegri
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Venerdì 15 Ottobre 2021, 23:08 - Ultimo aggiornamento: 23:12

Finti poveri, ma anche criminali veri e propri, alcuni addirittura condannati per mafia e per terrorismo. Decine di lavoratori in nero, evasori, addirittura giocatori d’azzardo che finivano per spendere la sovvenzione statale alle slot machine. Gli uffici della Procura sono sommersi da inchieste sui furbetti del reddito di cittadinanza, che per mesi hanno intascato il contributo dopo avere mentito nelle autocertificazioni. Per il momento gli indagati sono circa 700, ma il numero è destinato a salire: la Guardia di finanza è al lavoro per controllare documentazioni e dichiarazioni e, con cadenza quasi quotidiana, invia le denunce a piazzale Clodio.

Reddito di cittadinanza, il maxi-fascicolo

In un maxi-fascicolo si contano 100 indagati, compreso il dipendenti di un Caf che, secondo gli inquirenti, avrebbe aiutato decine di imbroglioni a compilare i moduli nel modo migliore - e falso - per ottenere l’aiuto statale.

Il reddito di cittadinanza, infatti, si può chiedere in diversi modi: alle Poste Italiane, rivolgendosi al Caf, appunto, oppure tramite i siti del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, oppure dell’Inps. Indagando su un gruppo di persone pizzicate a rilasciare dichiarazioni false nelle autocertificazioni, gli inquirenti si sono accorti che in tanti avevano una cosa in comune: avevano presentato la richiesta tramite lo stesso Caf. Il passo successivo è stato individuare il dipendente che aveva curato le pratiche. Poi, per tutti quanti è scattata l’iscrizione sul registro degli indagati. A coordinare le inchieste sono i magistrati del pool che si occupa di pubblica amministrazione. L’accusa ipotizzata dai pm è indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato. La legge, infatti, prevede che chi renda dichiarazioni false, utilizzi documenti falsi, attesti cose non vere, oppure ometta «dichiarazioni dovute al fine di godere del reddito di cittadinanza», sia punito con la pena della reclusione da due a sei anni. La pena è più pesante nel caso in cui chi già benefici dell’aiuto economico non comunichi le variazioni di reddito o di patrimonio, o «altre informazioni rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del reddito di cittadinanza». Una circostanza che, come emerge dagli accertamenti, si sarebbe verificata diverse volte.

I controlli

I controlli sulla veridicità delle autocertificazioni vengono eseguiti a posteriori, in modo da velocizzare le procedure di assegnazione. Una volta ricevuto il codice Pin, gli indagati hanno attivato le card elettroniche prepagate. Poi, hanno iniziato a incassare le somme accreditate, per mesi. Parallelamente, però, sono partite le verifiche: nelle liste dei bisognosi sono comparsi finiti disoccupati, finti nullatenenti - che avevano invece proprietà e conti in banca intestati -, ma c’è anche chi si sarebbe dimenticato di menzionare il proprio curriculum giudiziario. La norma prevede infatti l’esclusione dalla possibilità di richiedere l’aiuto per le persone che hanno precedenti penali per reati legati alla criminalità organizzata e al terrorismo, ma anche per truffa con l’aggravante dell’aver percepito indebitamente sussidi pubblici.

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