'Ndrangheta, le intercettazioni dei boss di Roma: «Siamo una carovana pronta a fare la guerra»

Nell'operazione speciale nominata «Propaggine», è stato disposto il sequestro di 24 società e di ristoranti, bar e pescherie nella zona nord di Roma e in particolare nel quartiere di Primavalle

'Ndrangheta, le intercettazioni dei boss di Roma: «Siamo una carovana pronta a fare la guerra»
'Ndrangheta, le intercettazioni dei boss di Roma: «Siamo una carovana pronta a fare la guerra»
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Martedì 10 Maggio 2022, 12:20

«Siamo una carovana per fare la guerra». Sono le parole del boss Vincenzo Alvaro, ritenuto dagli inquirenti uno dei due capi della 'ndrina operante a Roma (insieme ad Antonio Carzo), che emergono da un'intercettazione della Dda capitolina e Dia che ha portato all'arresto di 43 persone nella Capitale. Nell'operazione speciale nominata «Propaggine», è stato disposto il sequestro di 24 società e di ristoranti, bar e pescherie nella zona nord di Roma e in particolare nel quartiere di Primavalle. 

Altre 34 persone sono state fermate in Calabria. In carcere sono finiti Carmelo Alvaro, detto «Bin Laden», Carmine Alvaro, detto «u cuvertuni», ritenuto il capo locale di Sinopoli, e i capi locale di Cosoleto Francesco Alvaro detto «ciccio testazza», Antonio Alvaro detto «u massaru», Nicola Alvaro detto «u beccausu» e Domenico Carzo detto «scarpacotta». 

 

 

Le intercettazioni nell'indagine

L'attività degli inquirenti ha fatto emergere l'esistenza nella Capitale della prima 'ndrina riconosciuta ufficialmente dalla «casa madre» in Calabria.

Tra le persone raggiunte oggi da misura cautelare anche alcuni professionisti accusati di «avere messo a disposizione» della cosca il loro bagaglio di conoscenze. Si tratta di un commercialista, al quale il gip ha applicato la misura del carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, e un dipendente di una banca. Contestualmente le forze ordine (questure, i carabinieri e guardia di finanza di Roma e Reggio Calabria) hanno proceduto ad un sequestro preventivo nei confronti di una serie di società ed imprese individuali operanti a Roma e intestate a prestanome.

Operazione Propaggine

Gli interessi della cosca Alvaro-Penna, infatti, secondo la Dia, si sarebbero estesi all'amministrazione locale. Dalle indagini è emerso un forte interesse dei sodali per la competizione elettorale del Comune di Cosoleto del 2018. In particolare Antonio Carzo, ritenuto capo del locale romano, è accusato con il sindaco Gioffré di scambio politico-elettorale. Oltre a questo reato, gli indagati rispondono a vario titolo di associazione mafiosa, favoreggiamento commesso al fine di agevolare l'attività del sodalizio mafioso e detenzione e vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra aggravate.

L'attività investigativa è stata avviata nel 2016 dal Centro operativo della Dia con il coordinamento della Procura di Roma. Successivamente, a seguito dell'emersione di numerosi e significativi punti di contatto con soggetti calabresi operanti a Sinopoli, Cosoleto e territori limitrofi, parte degli atti sono stati trasmessi per competenza e le indagini, per tale parte, sono proseguite con il coordinamento della Dda di Reggio Calabria. Oltre a confermare l'esistenza del locale di ' ndrangheta nel territorio di Sinopoli, dove è radicata la famiglia mafiosa degli Alvaro e a cui è legata la famiglia Penna, le indagini hanno consentito di appurare come la cosca abbia dato vita, nella capitale, ad un'articolazione (denominata locale di Roma), che rappresenta un «distaccamento» autonomo, del sodalizio radicato in Calabria. Secondo gli investigati, con l'inchiesta della Dia c'è un'immagine nitida dell'esistenza di una propaggine romana, oggetto delle indagini coordinate dalla Dda di Roma.

Autorizzato dai massimi vertici della ' ndrangheta calabrese, si tratta di un locale che era in stretto legame con la «casa madre sinopolese» che aveva il compito di trovare una soluzione alle frizioni tra i sodali romani. A Roma è stata esportata anche l'osservanza dei riti e dei linguaggi tradizionali. I due capi del locale romano limitavano al minimo gli incontri di persona con i vertici calabresi, facendoli coincidere con eventi particolari, quali matrimoni o funerali.

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