Metro A e B fuori controllo: treni pieni, rischio contagio

Metro A e B fuori controllo: treni pieni, rischio contagio
​Metro A e B fuori controllo: treni pieni, rischio contagio
di Laura Bogliolo
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Venerdì 13 Novembre 2020, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 08:05

Guanti di plastica, doppia mascherina, l’igienizzante da spruzzare comunque sulle mani nervosamente più volte e c’è addirittura chi si porta la sedia da casa avvolta in una busta celeste per avere meno contatti possibili con il resto del mondo che viaggia sulle linee A e B della metropolitana. Si va in guerra quando si deve salire a bordo di un vagone e la battaglia inizia prima di oltrepassare i tornelli, quando ci si rende conto che si è soli, senza nessuno che monitori il flusso dei viaggiatori: possono entrare comitive, persone senza mascherina. A fare compagnia ai romani c’è solo una voce femminile che dall’altoparlante ricorda le misure di sicurezza. Ma nelle stazioni nessuno controlla quante persone entrino, il contingentamento non esiste nonostante in base al Dpcm del 3 novembre «a bordo è ammesso il 50 per cento dei viaggiatori rispetto alla capacità del veicolo». 

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La regola resta una frase sul sito dell’Atac, un ammasso di parole che fanno rabbia se si è costretti a prendere la metro per andare al lavoro, dal medico o da un parente malato. Arco di Travertino, linea A: nessuno controlla ai tornelli quante persone entrano, neanche se sono le 8, neanche durante l’orario di punta. Gli addetti dell’Atac sono scomparsi: non c’è chi vigila nella stazione di Furio Camillo e neanche sulla banchina della fermata di San Giovanni. Sulle linee A e B vige solo la regola dell’autogestione per difendersi dal Covid, soli e abbandonati scatta il campanello d’allarme interiore quando è chiaro che nel vagone entrano troppi viaggiatori, la distanza salva-vita di un metro è sogno, un dovere non assicurato dall’Atac in nessun modo, ma si deve comunque andare a lavoro. E allora si pensa alla mamma anziana cardiopatica, allo zio ottantenne che si dovrà evitare di andare a trovare «perché - dice il nipote - io prendo la metro». Arrivare a Termini significa aver impattato già con una ventina di persone, tutte per fortuna portano le mascherine, ma i nasi a volte continuano a sbucare dalle protezioni. Una ragazza, all’altezza della fermata Re di Roma sbotta contro uno straniero: «Alza la mascherina! Alzala!». Lui esegue solo perché gli sguardi degli altri viaggiatori sono un macigno. «Ma dove sono i controlli?» grida Giada, che deve raggiungere Barberini. Giorni fa a Vittorio Emanuele è entrata una signora: si è portata la sedia da casa. A Termini, un treno che passa dopo oltre 3 minuti trasforma la banchina in un’arena di scontro: ci sono due vigilanti, è vero, ma non impediscono gli assembramenti. «Che ci stanno a fare?». Qualcuno indietreggia, prova a rifugiarsi sotto gli archi, ma anche lì è ressa. Qualche minuto dopo le 8 arriva il treno: spintoni, veloci slalom che impongono maldestri colpi di stretching alle spalle, smorfie e c’è chi sbotta: «Che vergogna! Alla faccia del 50% della capienza...». A Barberini quasi si inciampa su una transenna che dovrebbe separare i flussi: è caduta chissà da quanto e non è stata mai rialzata dagli addetti Atac. A Flaminio ci sono le scalette che si affollano. Rita D. C., è una delle vittime dell’assenza di controlli da parte di Atac e denuncia i suoi viaggi da incubo tra Lucio Sestio a Repubblica per andare al lavoro: «Le promesse piovono ogni giorno dall’alto, ma i vagoni continuano a essere strapieni, il limite del 50% di capienza non esiste: ho viaggiato a 20 centimetri dagli altri». Anche ieri, nel pomeriggio, al rientro dal lavoro, nella stazione ferroviaria di Flaminio della Roma-Viterbo ci sono stati assembramenti, ressa. Romani e non, continuano a indossare le mascherine, spesso anche i guanti, mentre le regole restano solo sulla carta. La fallace autogestione in nome della sopravvivenza, che rassicura solo un po’, intanto continua. Non c’è scelta, dopotutto.
 

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