Panchinari del vaccino a Roma, ecco come funziona la lista per non sprecare le dosi a fine giornata

Panchinari del vaccino a Roma, ecco come funziona la lista per non sprecare le dosi a fine giornata
Panchinari del vaccino a Roma, ecco come funziona la lista per non sprecare le dosi a fine giornata
di Stefania Piras
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Mercoledì 24 Marzo 2021, 11:15 - Ultimo aggiornamento: 20:25

I titolari con il numeretto, tipo quello della gastronomia, tra le dita, aspettando il proprio turno. I panchinari del vaccino attendono, ma spesso arriva a sorpresa, la chiamata della Asl che scatta intorno alle 18: «Pronto, buonasera, è avanzata una dose di vaccino, riesce ad arrivare tra mezz'ora che gliela facciamo?». I titolari, sono distribuiti lungo tutta la giornata dalle 8 alle 18, prenotazione in mano e numeretto, aspettano la chiamata. «Novanta», ma non è la paura. Almeno a giudicare dagli occhi felici di Francesco Levi Della Vida che drizza le orecchie e infila il segnalibro nel volume di Isabel Allende per dirigersi verso la prima tappa del suo vaccino anti Covid. E' un chirurgo da pronto soccorso. Al centro vaccinale di Santa Maria della Pietà, Monte Mario (Roma), 300 dosi al giorno (se ancora avevate dubbi che in Italia si vada lentissimi), le persone vengono chiamate e accolte sotto una tenda prima di procedere all'iniezione. Tutti in fila, pazienti. Vista da qua la pandemia, e la campagna vaccinale, non è quel coacervo di paure e dubbi; è più un fastidio da dimenticare presto grazie al vaccino, una sfida di gente sorda al frastuono, alle ansie che imperversano fuori, corsa alla puntura per corazzarsi e tornare alla vita. «Troppa confusione ancora. Chiediamoci se è efficace non se è pericoloso, perché i vaccini non sono pericolosi», dice Levi Della Vida.

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Poco lontano si vede arrivare intabarrato l'ex senatore Luigi Manconi, numeretto anche lui, accoglienza, anamnesi e attesa per l'iniezione, come tutti. «Codice C05», esclama con la stessa enfasi sorridente con cui parlerebbe del codice da lui inventato per la musica italiana: il sentimental kitsch.

E alla fine mentre anche lui avverte i cari che è andato tutto bene, vaccino fatto, ripete al telefono che l'organizzazione gli è parsa di un'efficienza rara, «Non ho mai visto funzionare un ufficio pubblico così», e sottolinea la premura, la cortesia, del personale che accompagna, dà istruzioni, orienta, spiega.

 

Sotto la tenda in cui si aspettano quei quindici minuti canonici post puntura gli infermieri chiamano per cognome e consegnano il certificato, ancora solo cartaceo, di avvenuta iniezione. «Io appena lo faccio lo scrivo dappertutto, su Facebook e sui gruppi Whatsapp», sgrana gli occhi Federica Partelli, 35 anni. Quest'anno festeggia i dieci anni del suo trapianto di rene. Deve essere per quello che scandisce bene l'aggettivo «Fragile, sono fragile», che poi vuol dire che per sei mesi non è potuta uscire di casa, non ha potuto abbracciare la sorella che si è ammalata di Covid, e non ha visto la nonna spegnersi in tre giorni. Per colpa del coronavirus. «Tutto vero», racconta Federica, volontaria della protezione civile, che vuole tornare alla normalità soprattutto per tornare tra le persone che possono aver bisogno di lei: «Io le tende le ho montate in vita mia, ma mica per il vaccino: ero a L'Aquila dopo il terremoto». Federica, come i medici in fila con lei, sono quelli più esposti alla malattia e alle sue evoluzioni gravi. Sono queste al momento le persone che il piano nazionale vuole immunizzare velocemente. Gli over 80, ne mancano ancora: tutti quelli che un computer per prenotare il vaccino non sanno neppure come si accende e non hanno nipoti, figli o amici che li aiutino. Poi ci sono i medici, tutti: da quelli in pensione (c'è bisogno di altri vaccinatori, tanti e subito) a quelli partiti da Roma a fare i volontari in Trentino, in Lombardia (ricordate quegli arruolamenti spaventosi di un anno fa?) gli infermieri, gli operatori socio sanitari e le categorie più esposte proprio come Federica: chi ha subito un trapianto, i malati oncologici, i disabili, i malati neurologici. Via via le categorie aumenteranno.

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Le dosi residue, come funziona la panchina

Qui non troverete la fila fuori di chi aspetta le dosi non iniettate, il nuovo oro. Le direzioni sanitarie delle Asl della Regione Lazio hanno deciso di applicare la direttiva del commissario straordinario Paolo Figliuolo, quella per cui si devono smaltire ogni giorno tutte le fiale fino all'ultima dose (la già ribattezzata ordinanza anti-spreco) stilando tutti i giorni una “lista jolly”, la chiamano. Un elenco, cioè, di persone che al di là delle fasce prioritarie già individuate, è bene che si vaccinino prima degli altri perché comunque esposti. Questo elenco subentra nel momento in cui una fiala da sei dosi, nel caso del preparato Pfizer, venga aperta e non sia somministrata per intero.

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Perché esistono questi residui? Le rinunce esistono perché al momento del colloquio preliminare si scopre che un utente non può vaccinarsi. I motivi sono diversi: scopre di avere la febbre e quindi viene rimandato a casa, ha una storia pregressa di choc anafilattico, di allergie ai vaccini, ha avuto il Covid meno di tre mesi fa. Tutte condizioni che escludono in quel momento il vaccino. E' a quel punto che a fine giornata si passa a consultare la lista jolly (a Santa Maria della Pietà è composta da un centinaio di persone ad oggi), compilata dalla direzione sanitaria che stila comunque una gerarchia di priorità in base all'età e alle condizioni sanitarie. Non esiste che si passi lì per caso e ci si possa accaparrare una dose a fine giornata, per capirci. In questa fase si tratta di dipendenti delle aziende sanitarie, quindi medici ma anche impiegati, infermieri, tecnici informatici. Come funziona il meccanismo di utilizzo delle dosi residue? Una volta aperta una fiala, il vaccino viene diluito in sei siringhe e va consumato entro sei ore.

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Se le persone cui era destinato il farmaco non si presentano scatta la ricerca a fine giornata dei sostituti, i "panchinari". Le vaccinazioni si concludono intorno alle 18, a quel punto si comincia a scorrere la lista dei possibili sostituti e cominciano le chiamate: «Pronto, è avanzata una dose di vaccino, riesce a venire qui entro mezz'ora che gliela facciamo?». Le risposte sono le più disparate: chi è in quarantena per sospetto Covid e declina l'invito, chi abita troppo lontano. Far incontrare domanda e offerta non è facile, nemmeno in tempi di pandemia e scarsità di vaccini. Sembra assurdo ma è così. L'attesa dei panchinari può durare anche ore e ore: «A volte rimaniamo qui fino a tardi ad aspettarli per non buttare il vaccino», racconta Carolina, 34 anni, medico giovanissimo. Come giovanissime, 24 e 25 anni sono le infermiere che scorrono la lista dei sostituti: Shamiran, Caterina, Camilla.

Instancabili finché non trovano qualcuno che dica loro «Sì, vengo». E allora, loro si rimettono in moto, preparano gli aghi e osservano appagate quel liquido sparire dentro le braccia. Catena di montaggio, prevenzione, statistica, immunità di gregge. Quello che stava nei libri sotto forma di grafici e proiezioni arriva travestito da novantenne claudicante, ulcere cutanee, con quella pelle che incarta i muscoli stanchi. «Ma è vero che ci candidano al Nobel? Ma è una cosa vera?". Nel carosello delle tante fake news di questi mesi, a questo medico in pensione appena vaccinato pare una bufala pure una candidatura così altisonante. E però questa, è vera.

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