Coronavirus, dai bar ai negozi: a Roma uno su 5 non riaprirà

Coronavirus, dai bar ai negozi: a Roma uno su 5 non riaprirà
di Francesco Pacifico
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Lunedì 27 Aprile 2020, 08:07 - Ultimo aggiornamento: 14:28

Nella Capitale che si ripopolerà lentamente dopo il lockdown - con oltre 1,2 milioni di persone in circolazione, un terzo rispetto all'era preCovid - quasi 27mila botteghe di commercianti e artigiani saranno sparite. Un esercente su cinque non riaprirà. Ha già deciso di chiudere, indipendentemente dalle disposizioni e dai fondi che il governo metterà in campo per la ripartenza.
Per la precisione, spiega Stefano Di Niola della Cna capitolina, «parliamo di quasi 26.930 realtà che chiuderanno». Stando a una rilevazione dell'associazione degli artigiani, è prossimo al fallimento un terzo dei bar, dei ristoranti, dei parrucchieri, degli alberghi e quasi la metà tra alimentari, negozi di abbigliamento, di elettronica o ferramenta. Tutti pezzi di un tessuto economico che vale in termini di ricchezza il 10 per cento del Pil romano: ben 15 miliardi di euro. Senza una ripartenza rapida, questa cifra potrebbe ridursi di almeno la metà nel 2020. Lasciando a casa o mandando in cassa integrazione almeno 400mila dipendenti.

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LA LISTA NERA
Andando più nello specifico, chiuderanno 2.500 ristoranti e 2.300 bar. Per queste attività si teme un crollo del fatturato del 70 per cento. Addio a 430 tra rosticcerie e paninoteche che fanno asporto (con una riduzione degli incassi del 40 per cento), a 390 gelaterie (-80 per cento del fatturato) e 380 parrucchieri (-70 per cento i guadagni). Via pure un terzo degli alberghi (450), un gioielliere su cinque (180) e un decimo degli autoriparatori (140). I maggiori problemi li registreranno, però, i commercianti al dettaglio. Dagli alimentari all'abbigliamento passando per l'elettronica: ne chiuderanno 17.400, ai quali vanno aggiunti 140 fornai in meno. Sul fronte dell'artigianato dovremmo dire addio, infine, a 1.260 impiantisti e a 1.400 ditte legati al trasporto delle persone.
Numeri da economia di guerra. In una Roma che tra il 4 maggio (fine del lockdown) e le date de 18 e del primo giugno (quando riapriranno i negozi o i parrucchieri) vedrà quasi 1,3 milioni di persone in giro, con il 21 per cento che si muoverà con mezzi pubblici e il 70 con la propria auto; con l'84 per cento di lavoratori della logistica, il 7 per la manifattura e nei cantieri e il 9 nel commercio. Ma la situazione, tornado proprio ai negozi, rischia di essere esplosiva nel Centro storico. Qui, quasi il 60 per cento degli esercenti ha già comunicato alle rispettive associazioni di categorie che non riaprirà, se il Comune non disattiverà per tutto l'anno la Ztl e il pagamento dei parcheggi sulle strisce blu.
Ma alla base del picco di mortalità di negozi e artigiani ci sono problemi atavici che si mescolano a nuove emergenze. Di Niola mette assieme «la difficoltà a pagare gli affitti e i tributi in attesa di incentivi pubblici; le spese per adeguarsi alle prescrizioni igienico-sanitarie obbligatorie per aprire; soprattutto il crollo del giro d'affari, risicato con meno persone in giro e meno spazi per ospitare i clienti». Nota l'economista Rosario Cerra, presiedente del Centro economia digitale, «le spese, anche considerando quelle impreviste per l'adeguamento per le norme di sicurezza, in questa fase saranno più alti dei ricavi. I costi poi sono sempre certi, costanti e indipendenti dai mercato». La stessa Confesercenti ha calcolato un crollo di 2 miliardi di euro degli incassi soltanto per ristoranti e bar nel corso dell'anno. «Abbiamo stimato - aggiunge Cerra - che circa il 40 per cento dei consumi per beni non indispensabili verrà annullato o procrastinato. Al di là delle ipotesi degli economisti, i romani devono prendere coscienza che devono supportare il loro tessuto imprenditoriale se vogliono salvarlo». Tradotto, comprare il made in Roma.

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