Coronavirusa, Roma, Porta Pia, quella piazza senza le voci dei ragazzi

Coronavirusa, Roma, Porta Pia, quella piazza senza le voci dei ragazzi
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Martedì 7 Aprile 2020, 11:32

Mio marito e io ne siamo sempre andati fieri: dalle nostre finestre si vede l’unico simbolo romano della laicità, la Breccia di Porta Pia. Ogni anno, poco prima del XX settembre, laggiù puntualmente si celebra un rito, più solenne delle fanfare che ricordano l’anniversario. Viene ripulito il tratto di terra sotto le Mura che va dalla Breccia alla Porta di Michelangelo, di fronte al monumento ai bersaglieri. 

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Una volta l’anno: negli altri undici mesi le erbacce, ringalluzzite dalla falciatura cerimoniale, assediano impavide gli oleandri e il capolavoro dell’imperatore Aureliano. Cosa è cambiato lungo le Mura, in queste settimane di quarantena? Non le ortiche, ormai alte più di un metro; ma le tracce umane in mezzo alle ortiche. 

Scomparse tutte: le cartacce, le bottiglie rotte, i cartoni su cui dormivano i senzatetto. Dove sono ora, quelli che non possono proclamare «io resto a casa», perché una casa non ce l’hanno? Ci si è preoccupati di offrire loro un riparo, e una qualche forma di sopravvivenza? E agli ambulanti della lunga fila di bancarelle ora inghiottita nel nulla, che chiamavo ammiccando «la mia boutique»? Nel mio quartiere, come forse ovunque, il distanziamento non ha portato solo meno umani per strada: ha distanziato le classi sociali, e le generazioni. Oltre ai poveri, sono scomparsi anche i ragazzi e le ragazze del Tasso e del Righi, che si spintonavano e sbaciucchiavano su via Sicilia e alle fermate dell’autobus. 

Per loro la perdita del contatto fisico è una lacerazione bruciante, mi dico, molto più che per noi. E i bambini? 
Con i nipoti scherziamo in videoconferenza o al telefono: allegramente, finché dura la connessione. Ma mi accorgo che abbiamo un moto di struggimento, ogni volta che dalla finestra arriva qualche voce infantile. 
Non dalla strada, per loro fino a ieri off limits: dalla terrazza di un palazzo sul lato opposto di Corso d’Italia. E sul nostro, di terrazzo condominiale, ho sentito una stretta di commozione, quando dalle scale è comparsa una giovane incinta con il suo compagno, mentre passeggiavamo su e giù fingendo di trovarci ancora a Villa Borghese. 
 
È da lassù, che abbiamo avvistato la prima volta un grande miracolo della quarantena: i cassonetti, fino a ieri stracolmi e circondati di immondizia buttata a terra, apparivano liberi e ordinati, forse perfino puliti. Da quel giorno e tuttora, è tornata ad aver senso perfino la raccolta differenziata, che tante volte mi era apparsa un mio gesto di disperata coerenza, destinato a finire rimescolato dall’Ama in un’unica orrenda discarica. Ce ne ricorderemo, quando tutto sarà finito? E del sapore dell’aria pulita? Tutto quello che avviene oggi, nella città deserta, ci interroga sulla Roma di domani, ci parla di noi. Non solo noi due, vecchietti sereni e privilegiati, lontani dal gorgo che sta ingoiando i nostri coetanei a Bergamo e Brescia. 
Un noi più largo, un noi condiviso e comunitario che da troppo tempo abbiamo perduto, ben prima della pandemia. Un noi che non è solo possibilità di abbracciarsi e di stare insieme, ma di pensarlo insieme, il nostro vivere e il nostro sguardo sugli altri, e la nostra città ora così bella nel suo silenzio, e così affamata di nuove parole per costruire il futuro.

Le ritrovo sul web, in quella parte della metropoli ormai irraggiungibile ma vicina nel cuore: al Pigneto e a Torpignattara, a San Lorenzo e a Centocelle, al Quarticciolo e al Tufello, nelle associazioni e nei comitati che si danno da fare ogni giorno, per la consegna a domicilio di spesa e farmaci ad anziani e disabili, e per offrire assistenza psicologica via telefono a chi sta per crollare. È questa Roma, povera e solidale e precaria, che avrei voluto esplorare e narrare su queste pagine.

Avrei voluto… se come tutti non fossi rinchiusa non solo nel mio quartiere ma in una sua minuscola fetta: lo spazio di un cerchio, il cui raggio – giustamente! – non può andare oltre i 200 metri. 

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