Roma, l'ex moglie di un Casamonica: «Milioni nascosti nei muri e botte, la mia vita con il clan»

Roma, l'ex moglie di un Casamonica: «Milioni nascosti nei muri e botte, la mia vita con il clan»
di Michela Allegri
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Mercoledì 29 Gennaio 2020, 09:04 - Ultimo aggiornamento: 20:36

Milioni di euro nascosti nei muri di casa, minacce di morte e un'ossessione per il controllo. Debora Cerreoni, la collaboratrice di giustizia che con la sua testimonianza ha consentito alla procura di decimare il clan Casamonica con un'ondata di arresti, racconta la sua vita precedente nell'ultima udienza del maxiprocesso a carico di 44 esponenti della famiglia sinti. «So che Giuseppe Casamonica diceva di avere 10 milioni di euro nascosti nei muri. Una volta ero a vicolo di Porta Furba e venni insultata perché mi ero tagliata i capelli di un centimetro, arrivavano a controllarmi anche la spesa», dice la Cerreoni che, all'epoca, era sposata con Massimiliano Casamonica.

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IL SEQUESTRO
«Mi hanno distrutto la vita - racconta la testimone - Non avevo sposato soltanto Massimiliano, ma tutto il clan». La donna, collegata in videoconferenza con l'aula Occorsio del tribunale di Roma, sostiene di essere stata minacciata di morte e di essere stata sequestrata: «Mi hanno tolto il cellulare, per cercare di nascondere il sequestro mi hanno anche portato alla festa di un loro parente». Poi, una dichiarazione pesantissima: «Hanno anche minacciato di sciogliermi nell'acido». Una vicenda che aveva fatto finire in manette tre componenti della famiglia che, però, sono stati tutti assolti in primo grado. Antonietta e Liliana Casamonica erano accusate di aver minacciato e sequestrato all'interno di un appartamento a Porta Furba la Cerreoni, loro nuora. Il loro fratello, Massimiliano, secondo gli inquirenti aveva malmenato la donna durante un colloquio in carcere. Il sequestro, per i pm, sarebbe stato una ritorsione per il presunto tradimento della donna nei confronti del marito detenuto.
 


LA DENUNCIA
Dopo essersi separata Casamonica, la testimone ha deciso di diventare una collaboratrice di giustizia e di raccontare ogni cosa agli inquirenti. Ieri, davanti al pm Giovanni Musarò, ha anche dichiarato di essere sempre stata considerata un'intrusa nella famiglia. «Non sono mai stata ben vista da loro, perché non ero sinti - ha detto la Cerreoni - dovevo fare quello che dicevano loro, non potevo fiatare. Ogni volta erano discussioni e botte». Il clan non avrebbe apprezzato nemmeno la sua indipendenza e il suo lavoro. «Lavoravo come cuoca e neanche questo andava bene - ha aggiunto - Mi accusavano dei tradimenti ma anche mio marito mi tradiva». Non ha mai denunciato prima per timore, aveva paura che la allontanassero dai suoi figli o che le facessero del male. Ha raccontato anche questo in aula: «Più volte ho pensato di denunciare, ma ogni volta che andavo in caserma alla fine non entravo e piangevo, avevo paura per i bambini. Ma nel maggio 2014 sono riuscita a fuggire e a Bologna ho sporto denuncia. Avevo paura e temevo ritorsioni sui miei figli».

LE CONDANNE
Il maxiprocesso contro la famiglia sinti è scaturito dall'operazione Gramigna che, tra il 2018 e il 2019, in due tranche, ha fatto finire in carcere decine di esponenti del clan. Il primo filone si è chiuso lo scorso dicembre con la condanna di 14 componenti della famiglia. Per gli imputati, che hanno scelto il giudizio abbreviato, sono state disposte pene che vanno dai 3 ai 9 anni di reclusione e per alcuni di loro è stata riconosciuta l'aggravante mafiosa. L'accusa più pesante, quella di associazione a delinquere di stampo mafioso, invece, viene contestata nel processo trattato ieri a carico di 44 imputati.

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