Stadio Roma, nuova inchiesta: «Terreni venduti al ribasso»

Stadio Roma, nuova inchiesta: «Terreni venduti al ribasso»
di Sara Menafra e Adelaide Pierucci
3 Minuti di Lettura
Domenica 1 Aprile 2018, 13:38 - Ultimo aggiornamento: 13:42

Il futuro stadio della Roma torna al vaglio della Procura. A piazzale Clodio è stato aperto un fascicolo sui passaggi di proprietà dei terreni dell'ippodromo di Tor di Valle, designato come base del nuovo campo dei giallorossi con accanto un mega-complesso di negozi e uffici. Sotto i riflettori del pm Mario Dovinola sono finite le procedure che hanno portato il sito, a ridosso dell'Eur, dalla Sais Spa di Umberto e Gaetano Papalia al gruppo di Luca Parnasi con la Eurnova Srl. Ed in particolare il secondo contratto di compravendita dei terreni, definito Atto modificativo dei patti transattivi firmato il 25 giugno del 2013, che avrebbe stravolto il primo accordo. Se nel contratto originario, la vendita dei terreni era legata alla stipula della Convenzione Urbanistica col Campidoglio entro dicembre 2013, pena la decadenza, nel secondo, il vincolo viene cancellato e il passaggio di proprietà diventa direttamente esecutivo. Per di più, secondo l'esposto ora sul tavolo del pm, Parnasi formalizza subito il passaggio di proprietà con una caparra di 600.000 euro e si impegna a pagare 21 milioni e Sais avrebbe rinunciato al gioiello di famiglia a undici mesi dalla dichiarazione di fallimento (decretato nel maggio 2014), mentre la normativa in materia, a tutela dei creditori, vieta qualsiasi cessione nell'arco dell'anno precedente per le società in precarie condizioni economiche.

LE ANOMALIE
Il fascicolo, ancora senza ipotesi di reato, è stato aperto in seguito alla denuncia presentata dal Tavolo della libera urbanistica, una associazione, formata da un gruppo di tecnici per lo più architetti e ingegneri, che promuove il rispetto del territorio e nel caso specifico insinua anomalie nel fallimento della Sais. Secondo la denuncia, la vendita a pochi mesi dal fallimento avrebbe esposto l'acquirente, ossia il gruppo di Parnasi, ad un concorso in bancarotta. È questo il fulcro delle nuove indagini: verificare se la vendita dei terreni nel periodo del prefallimento in cui i beni societari sono intoccabili abbia appunto portato alla bancarotta. Il giorno dopo la modifica dell'atto di compravendita, il 26 giugno 2013, la società di Papalia aveva presentato proposta di concordato, subito respinto dal curatore, e undici mesi dopo, il 22 maggio 2014, è stata dichiarata fallita. La revisione del contratto avrebbe fatto sospettare ai denuncianti (assistiti dall'avvocato Edoardo Mobrici) che le parti abbiano voluto cambiare gli accordi a svantaggio dei creditori.

LA BANCAROTTA
Nel frattempo in un precedente filone d'inchiesta sono finiti a giudizio Gaetano e Umberto Papalia, già presidente e componente del cda della Ippodromo Tor di Valle, oltre a Umberto Ciccozzi, liquidatore della Ippodromo Tor di Valle, e Michele Saggese, ex amministratore unico della Sais. Anche su questo versante d'inchiesta l'anno cruciale è il 2013, quando, secondo la Procura, con una «manovra artificiosa» si anticipa la rescissione del contratto di locazione del terreno ai gestori dell'ippodromo, per canoni non pagati, a fronte di una scadenza nel 2016. In questo modo sarebbero stati privati i creditori di Sais e di Ippodromo di Tor di Valle dei proventi che sarebbero derivati dallo sfruttamento dei terreni poi acquistati, nello stesso anno, appunto da Parnasi, rimasto estraneo alla vicenda giudiziaria.

L'ITER
Dal punto di vista amministrativo, l'iter del nuovo stadio è fermo da quasi quattro mesi, da dicembre, quando la Conferenza dei servizi ha dato il via libera al progetto, ma con una sfilza di prescrizioni. L'elenco delle falle da sanare è stato spedito ai privati a gennaio, ma da allora la Regione Lazio non ha avuto aggiornamenti. I proponenti sperano di posare la prima pietra «entro fine 2018», ma di fatto deve ancora essere firmata la convenzione urbanistica, che va ratificata con un voto del Campidoglio. Poi toccherà alla giunta regionale votare un'altra delibera ancora.

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA