Sgombero Camping river, pistole finte, macchine di lusso e refurtiva. Nelle roulotte scassate gli uffici dei capi clan

Sgombero Camping river, pistole finte, macchine di lusso e refurtiva. Nelle roulotte scassate gli uffici dei capi clan
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Venerdì 27 Luglio 2018, 09:50
«Bum... ora bruciamo tutto», si sentono dire gli agenti della Municipale quando alle 7.28 di mattina fanno irruzione tra le baracche del River, il villaggione che sbuca sulla Tiberina, dopo una successione di vivai tutti uguali, pompe di benzina, un magazzino di lapidi all'aperto, neanche un bar nel raggio di chilometri. Undicimila metri quadri, forse qualcosa di più, a Nord di Roma. Ma alla fine non brucia niente. Spunta una pistola, durante lo sgombero, ma è finta, di quelle che si usano per gioco o per le rapine. Gli schiamazzi ci sono, durante il trasloco forzato, gli spintoni pure. Ma niente di più. Almeno fino a sera. «Hanno usato gli spray al peperoncino», dice una signora, borsa Louis Vuitton in un braccio e bimba nell'altro, ma neanche una delle cento dirette Facebook che gli occupanti riversano sui social lo dimostra. E anche il capo dei vigili lo dice: «Ma quale spray, non abbiamo usato niente se non le parole per convincerli ad andare via».

Alla fine, in tre ore, escono tutti. La resa e il trasloco. E per portare via valigie, poltrone, passeggini, fornelli, tra i container si assiste a una sfilata di auto di gran marca: Bmw, Mercedes, Audi. Manca solo la Porsche che si è vista l'altro giorno, per chi si era portato avanti con gli scatoloni. Alle undici il River è liberato.

DA BOSNIA E ROMANIA
Finisce così la storia di quello che era diventato il più grande campo abusivo di Roma. I primi rom, della Bosnia e della Romania, erano arrivati nel 2005, col placet del Campidoglio. Tutti gli altri traslocano quattro anni dopo, nel 2009, quando viene smantellato il Casilino 900, fino a quel momento il villaggio nomadi più popoloso d'Europa. Le due comunità, quella di chi veniva da Bucarest e dintorni e quella degli ex jugoslavi, riescono a trovare un equilibrio per convivere senza gli sgarri che altri accampamenti hanno conosciuto, con tanto di coltellate e sparatorie tra le roulotte. Un equilibrio, quello del River, che secondo gli investigatori si è innestato anche sul giro di affari sporchi dei vari clan famigliari. Furti, fenomeni di spaccio, traffico e incendio di rifiuti. Come sa bene chi abita da queste parti e che ieri, a ragione, festeggiava per lo sgombero annunciato mille volte e ora finalmente portato a dama. Una festa a bassa voce, però, col timore che nei prossimi giorni possano esserci ritorsioni.

UN ROM SU DIECI
Al River vivevano in 420, praticamente un rom su dieci di quelli alloggiati nelle grandi baraccopoli della Capitale. Negli ultimi giorni, quando lo sfratto è diventato imminente dopo una batteria di annunci, ritardi e rinvii, metà degli occupanti aveva già levato le tende. Erano rimasti in 220 ieri mattina, quando è scattato il blitz. Il Campidoglio del resto era stato chiaro: toccava partire da qui. Nel piano originario del M5S, in realtà, i primi due insediamenti da smobilitare erano quelli della Monachina (115 residenti) e della Barbuta (586 abitanti). Ma un pasticcio della burocrazia - una vecchia proroga non più rinnovabile - ha cambiato i piani di Raggi. La prima deadline per la chiusura era fissata per luglio del 2017, poi settembre, poi la settimana scorsa. E si arriva all'ultimatum di pochi giorni fa, con l'ordinanza di sgombero firmata dalla sindaca, poi congelata dalla Corte di Strasburgo. Ma con i casotti sfasciati, senza servizi, il River per l'amministrazione era diventato ormai una bomba sanitaria, si rischiava un'epidemia. Tutti fuori, quindi. Sgasando in supercar.
L. De Cic.
 
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