Bus in fiamme, l'autista: «Ho fatto il mio dovere, non mi sento un eroe»

Bus in fiamme, l'autista: «Ho fatto il mio dovere, non mi sento un eroe»
di Lorenzo De Cicco e Paolo Chiriatti
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Mercoledì 9 Maggio 2018, 00:41 - Ultimo aggiornamento: 10:02
«Ora sono in ospedale, è stata dura, ma sto bene». Risponde con un filo di voce Pietro Onori, l’autista dell’Atac che ieri mattina si è trovato al volante di un bus esploso nel cuore della Città eterna, a metà strada tra piazza Barberini e via del Corso, il passeggio dello shopping e il via vai dei turisti. Dal grigiore di una giornata piovigginosa al fuoco delle fiamme che ha divorato tutto: la cabina di guida, i sedili dei passeggeri, la carcassa di un bus vecchio di quindici anni. Tutto annerito dalla caligine tossica delle vampe. Lui, Pietro, non ci ha pensato un attimo: appena ha visto la prima scia di fumo uscire fuori dal vano motore, ha bloccato il mezzo e ha fatto scendere tutti. Poi ha imbracciato l’estintore e ha cominciato a schizzare contro la navetta avviluppata dal fuoco.

Pietro sa che è grazie al suo istinto e alla sua velocità di reazione se questa mattinata di paura e fuoco nel cuore di Roma si è conclusa con un solo passeggero ferito, che non è in pericolo di vita, anche se ha riportato ustioni di secondo grado.

«Qualcuno in famiglia dice che ora meriterei un premio, ma non è vero, non sono un eroe o almeno non mi sento così - dice Pietro al telefono - Ho solo fatto il mio dovere, qualunque altro autista si sarebbe comportato nello stesso modo».

Sulla sua salute, rassicura tutti: «Sono in ospedale, ma sto bene, non ho avuto ferite». È la prima cosa che ha detto anche ai vigili del fuoco intervenuti in via del Tritone, quelli che sono riusciti a domare le fiamme mentre la colonna di fumo nero si allungava sui palazzi della strada fino quasi a toccare il cielo. 

Si dice che un comandante non abbandona mai la sua nave. Chissà se vale anche per gli autobus. Certo è che Pietro, fino a quando l’ultima lingua di fuoco non è stata domata, è rimasto lì, a controllare la situazione. Col telefono in mano, per parlare alla centrale operativa dell’Atac, l’azienda che gestisce i trasporti pubblici di Roma, oppure dialogando faccia a faccia con gli agenti della polizia intervenuti sul posto.

LA LUCE SUL MONITOR
«Mi sono accorto che qualcosa non funzionava quando sul motore si è accesa una spia: quella dell’avaria. Ero da poco entrato nel Tridente - ha detto l’autista agli investigatori - A un certo punto, con la coda dell’occhio, ho visto il fumo uscire dalla parte posteriore del bus. Ho capito che in quelle condizioni sarebbe stato pericoloso andare avanti, ecco perché appena possibile ho subito fermato la vettura». Il mezzo dell’Atac si arena accanto al marciapiedi, davanti alla vetrina di un paio di negozi, a metà strada tra la piazza con la fontana del Tritone del Bernini e l’incrocio di via del Corso, la Galleria Sordi, qualche centinaio di metri ancora più avanti e sbuca Palazzo Chigi.

«Poco dopo - racconterà Pietro agli agenti del commissariato Trevi, diretto da Mauro Fabozzi - ho provato a spostare l’autobus, perché mi sono reso conto che era molto vicino a un palazzo e alle vetrine dei negozi. Ma quando sono rimontato in cabina era già tardi: non era più possibile metterlo in moto e ripartire, anche solo per sistemarlo qualche metro più in là, al centro della strada, in modo da non essere vicino a nessun edificio».

LA COMPAGNA E IL FIGLIO
Solo dopo essersi assicurato che «tutti i passeggeri fossero in salvo», Pietro ha chiamato la famiglia, per rassicurarli: «Ero io alla guida del bus, ma sto bene».

Pietro, 35 anni, ha una compagna e un bambino piccolo, 4 anni. Vive a Contrada San Francesco, a Carsoli, paesino di 5.393 anime in provincia de L’Aquila. Ha imparato a guidare fin da giovane, mettendosi al volante dei camion con cui il padre commerciava bestiame. Poi, dieci anni fa, l’ingaggio nella più grande partecipata dei trasporti del Paese. «Tanti autisti dell’Atac vengono da Carsoli, non è l’unico - dicono in famiglia - Pietro lo era venuto a sapere e ha provato anche lui ad essere assunto, per fare l’autista».

Mestiere difficile, specie negli ultimi tempi, quando si sente spesso parlare di aggressioni, sassaiole, bus che vanno a fuoco. Dieci roghi dall’inizio del 2018. E quando capita, Pietro lo sa, tocca reagire subito, senza perdere secondi preziosi. «Ho preso l’estintore del bus, poi quando è finito ne ho chiesto un altro in prestito al primo bar che ho trovato sulla strada. Ma le fiamme erano troppo alte. Non potevo farcela da solo. Per fortuna sono arrivati i soccorsi. Ho solo fatto la mia parte, non sono un eroe».
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