Covid: la quotidiana battaglia di trincea dei medici di base

Covid: la quotidiana battaglia di trincea dei medici di base
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Sabato 14 Novembre 2020, 00:10

RIETI - E’ come in guerra e come durante la prima ondata, senza armi ne munizioni. Così, anche a Rieti e provincia si rivela assolutamente drammatico il bilancio dei medici di base contagiati dal Covid, con studi medici decimati fra il personale di servizio, lotti di vaccini che non arrivano più da nessuna parte e le Usca, Unità speciali di continuità assistenziali, che non sono state ancora attivate. 

Disarmati. Per chi non è rimasto contagiato, si tratta di restare incollati al telefono a partire da ancora prima che sorga il sole, di trovarsi costretti a comprare di tasca propria i dispositivi di protezione per visitare pazienti spesso sintomatici, assediati dalle richieste di vaccinazione dei loro mutuati quando però dei lotti di vaccini non se ne vede più neanche l’ombra: «Al momento non abbiamo né vaccini antinfluenzali né contro lo pneumococco, perché l’Asl non riesce a consegnarceli – spiega Renzo Broccoletti, segretario della Federazione Italiana dei medici di medicina generale di Rieti - La campagna vaccinale termina a fine dicembre e questo è il periodo entro il quale andrebbero fatti: forse per fine mese dovrebbero arrivare, ma non abbiamo alcuna certezza».

E poi ci sono le Usca, che dovrebbero essere attivate dalla Asl di Rieti e che potrebbero aiutare a prevenire i casi di contagio tra i medici: «Fra i medici molti di noi sono positivi e il disastro è completo – prosegue Broccoletti - Siamo in prima linea e cerchiamo di fare quello che possiamo, visitando a casa e in studio anche sospetti casi Covid, con dispositivi comprati da noi.

Stiamo aspettando che l’Asl attivi le Usca, che potrebbero aiutarci con i sospetti casi Covid domiciliati, ma fino ad ora non si sono viste». 

Paolo Bigliocchi contesta invece l’idea di far effettuare i test rapidi antigenici ai medici di base: «Sono disponibile a fare tamponi rapidi ma non nel mio studio, perché significherebbe trasformalo in una bomba infettiva per i pazienti – ragiona – Spero invece che ci forniscano delle stanze separate dove poterli fare. Purtroppo, fin dall’inizio dell’emergenza non c’è mai stato un coordinamento professionale qualitativo: la nostra professione è ritenuta talmente poco importante che da marzo non abbiamo mai ricevuto dalla Asl una mascherina o un paio di guanti e non ci si rende conto che, in realtà, siamo il primo passaggio del paziente e che molti di loro riusciamo a curarli a casa senza necessità di ricovero». 

Pediatri più tranquilli. Quasi diametralmente opposta, invece, la situazione sul fronte pediatrico provinciale, con meno dosi di vaccini necessarie ma anche tanta celerità in più nella fornitura ai pediatri: «In Sabina non ci sono particolari difficoltà: abbiamo già ricevuto con puntualità il 70 per cento delle dosi e speriamo che arrivi anche l’ultima tranche di vaccini, ma fino ad ora i frigoriferi sono abbastanza forniti e l’unico limite è rappresentato dalla loro capienza – spiega Luciano Basile, vice segretario per la Regione Lazio della Federazione italiana medici pediatri – La fornitura prevista per noi pediatri è limitata, perché prevista per la fascia d’età che va dai 6 mesi ai 6 anni e anche se non c’è l’obbligatorietà della vaccinazione, si registra una richiesta molto maggiore da parte delle famiglie rispetto agli anni passati. Poi, certo, ci sono anche quelle scettiche, ma è sufficiente parlarci perché molte si convincano a vaccinare i propri figli».

L’aumento dei casi di positività, però, non è passato inosservato nemmeno nella fascia dei più piccoli: «Non siamo ancora in grado di dire con certezza se i bambini siano più contagiosi degli adulti, ma a partire soprattutto da materne ed elementari stiamo assistendo a un aumento dei casi – conclude Basile - In media, ogni pediatra ha una decina di bambini positivi, ma fra i nostri colleghi non si registra un elevato numero di contagi, perché spesso i bambini hanno sintomi molto lievi e quindi non è necessario andarli a visitare a casa o farli venire in studio».

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