Zangune sarai tu! Nei campi l'erba spontanea amato dal tenore Tito Schipa

Zangune sarai tu! Nei campi l'erba spontanea amato dal tenore Tito Schipa
di Pierangelo TEMPESTA
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Giovedì 18 Agosto 2022, 07:23 - Ultimo aggiornamento: 10:16

Un vecchio detto popolare recita «Oju e sale, ogni erva vale»: condita con olio e sale, ogni erba è buona per essere mangiata. E la terra salentina, di “erbe” da portare in tavola ne offre ancora tante. Si raccolgono non solo per l’autoconsumo, ma anche per la vendita nei mercati di paese o nei negozi di ortofrutta. Anche se, a riconoscerle e a ricercarle, ormai, sono rimasti pochi anziani e i contadini - di professione o per passione - di mezza età. Dalla più nota “cicureddha” (la cicoria selvatica, cucinata anche “a minescia” insieme alla carne di maiale e la cui radice tostata forniva pure un surrogato del caffè, la famosa “ciofeca” di Totò), fino ad arrivare al “lazzime” (l’erisimo, detto anche “erba dei cantanti”, ottimo rimedio contro la raucedine di cui, si racconta, anche il tenore leccese Tito Schipa faceva uso sotto forma di tisana prima di cantare), sono decine le piante spontanee (o eduli) utilizzate in cucina. Il metodo di cottura è, quasi per tutte, la bollitura e il condimento è con olio e sale. Ma c’è anche chi le ha rivalutate, utilizzandole per ripieni o per risotti. 

Un'antica tradizione si perde nei tempi


«Sono le cosiddette “foje ‘mmische” - spiega il naturalista Roberto Gennaio di Taviano, tecnico di Arpa Puglia ed esperto conoscitore del mondo delle piante alimurgiche, argomento sul quale tiene anche seminari e convegni - la misticanza che ha nutrito generazioni grazie a un sapere tramandato da padre in figlio con l’uso anche del tatto e dell’olfatto. Sono piante che erano tenute in grande considerazione dalla civiltà contadina e che ancora resistono e sopravvivono. Purtroppo, oggi si è portati ad avere tutto pronto tramite la grande distribuzione ed è raro che ci si rivolga a madre natura per raccogliere queste piante: è una eredità che si sta perdendo e che solo alcuni anziani portano avanti. Ogni paese - aggiunge Gennaio - aveva un nome particolare per riconoscere le piante. C’è quindi da difendere una cultura nella cultura: quella dell’identificazione della pianta e quella dei nomi che venivano dati nelle diverse località». 
C’è la “paparina”, la pianta del papavero rosso nota anche come “fritta”, che viene soffritta con l’aggiunta di olive celline, peperoncino, finocchietto selvatico, buccia d’arancia e “lapazzu”. Chi non ha mai sentito il vecchio canto popolare “Nazzu nazzu nazzu la paparina cu lu lapazzu, la mamma la cucina lu lapazzu e la paparina”?. E, ancora, gli “zanguni”, la “curbacchia”, il “pane te lepre” (o “lattuseddha” o “caulu te monte”), la “seuca”, la “zirnia”, la “burraccia” (borragine), i “culacchi de porcu”, la “foja lattarula”, il “mariulu” (per via del suo sapore amarognolo), il “sannacciune”, lo “spruscinu”, gli “sprasci” (asparagi selvatici), gli “strazzacausi”, i “sanapeddhi”, la “purbacchia”, la “malva” (i cui fiori vengono soffritti in pastella), il “fanucchiu crestu” (usato per aromatizzare le olive in salamoia o per insaporire le salsicce), gli “spunzali”, il “murgulu”, il “ripili te mare”.

E così via. Nomi antichi, a volte particolari e pittoreschi, per piante conosciute e per altre meno note che, nei periodi passati, venivano tenute in grande considerazione perché necessarie all’alimentazione della famiglia. 

Il Salento delle erbe spontanee

Le più famose (cicureddhe, paparine, zanguni) vengono ancora raccolte e messe in vendita nei mercati o nei negozi di ortofrutta. Il loro prezzo varia dai 2 ai 3 euro al chilo, a seconda del periodo. «A raccogliere queste piante spontanee - spiega l’agronomo Francesco Carangelo di Ugento - oggi sono soprattutto gli anziani. I giovani, purtroppo, non le riconoscono. E mentre prima si raccoglievano anche ai margini delle strade, oggi è sconsigliato farlo per via dell’inquinamento da parte delle auto. Sarebbe molto utile svolgere attività di formazione rivolte ai giovani, chiamando a parlare gli anziani, prima che queste antiche pratiche scompaiano del tutto». «Le piante spontanee si trovano ancora in grandi quantità - aggiunge Claudio Liviello di Alliste, coltivatore diretto in passato ed esperto conoscitore della vegetazione edule - io stesso le raccolgo in autunno, dopo le prime piogge, nei luoghi in cui crescono ancora rigogliose, tra Ugento, Felline e Torre San Giovanni. Si inizia a novembre e si finisce a marzo. E non si usano più soltanto nella cucina popolare, ma anche nei ristoranti. Ma a svolgere queste attività siamo rimasti noi di mezza età e gli anziani. La fatica per raccogliere queste piante è tanta ed è necessaria altrettanta accortezza nel pulirle». 
Della stessa idea l’imprenditore agricolo Daniele Bonatesta, coltivatore di rucola: «La tradizione vive ancora nelle persone di mezza età. Paradossalmente, con l’abbandono dei terreni dell’ultimo periodo, la crescita di queste piante spontanee è aumentata. Rispetto alle erbe commestibili che crescono nel Salento, ne mangiamo pochissime, perché sono rimasti in pochi a conoscerle e a riconoscerle tutte. In passato - aggiunge - la raccolta avveniva per l’autoconsumo e per necessità. Oggi mangiare questo tipo di piante è diventato quasi un lusso, tant’è che delle cicureddhe si è alimentata anche la coltivazione».
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