Autonomia differenziata, Viesti: «Tutti i governatori vorranno più potere e sarà il caos»

Autonomia differenziata, Viesti: «Tutti i governatori vorranno più potere e sarà il caos»
di Paola ANCORA
5 Minuti di Lettura
Lunedì 13 Giugno 2022, 10:51 - Ultimo aggiornamento: 14 Giugno, 16:24

Già vent'anni fa, in un saggio edito da Laterza, teorizzava «l'abolizione del Mezzogiorno» per scrostare il dibattito pubblico dalla tentazione diffusa di nascondere la polvere sotto al tappeto e rinviare la soluzione dei reali problemi del Paese. Non è quindi un caso che Gianfranco Viesti, economista e ordinario di Economia applicata all'Università di Bari, bocci il Ddl quadro sull'autonomia differenziata «perché, così com'è stato pensata, farà male al Paese», non soltanto al Sud.


Professore ci dica qual è, a suo avviso, il nocciolo principale della questione autonomia differenziata.
«Dobbiamo chiederci preliminarmente: vogliamo un massiccio, ulteriore trasferimento di funzioni alle Regioni? Sono scettico, ma se ne può parlare.

Tuttavia se ne dovrebbe parlare soltanto dopo una modifica dell'articolo 117 della Costituzione».


L'articolo 117 definisce le materie nelle quali legiferano, rispettivamente, Stato e Regioni e le materie di legislazione concorrente. Perché ritiene vada modificato?
«Il vulnus del dibattito sull'autonomia differenziata è che le Regioni che l'hanno richiesta stanno usando l'articolo 116 - che consente loro di richiedere il trasferimento di competenze in alcuni casi - per avocare a sé tutte le materie possibili. Formalmente questo la Costituzione non lo vieta, ma politicamente è una enorme forzatura dell'articolo 116. Qui parliamo di come dovrà funzionare lo Stato: non sono affatto centralista, ma è arrivato il momento di aprire una riflessione su come hanno funzionato in questi anni lo Stato e le Regioni e avrei cura di valutare con attenzione decentramenti ulteriori, specie in materie come la scuola, l'energia o l'ambiente».


Perché cita proprio la scuola, l'energia e l'ambiente?
«Sono contrarissimo alla regionalizzazione della scuola perché la scuola pubblica è la principale infrastruttura che tiene in piedi il Paese, il luogo dove si forma la coscienza civile dei cittadini. Il ruolo, i diritti e i doveri degli insegnanti devono essere gli stessi in tutta Italia. Trasferire alle Regioni materie come energia e ambiente sarebbe clamoroso: sono settori nei quali c'è un assoluto bisogno di concordare politiche a livello europeo e non di spezzettarle a livello regionale. Per non parlare della richiesta originale avanzata da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, che chiedevano la cessione delle grandi infrastrutture del Paese, cioè un pezzo Autostrada del Sole, i ponti, le ferrovie e via dicendo».


Di questo trasferimento non si trova traccia nel dibattito pubblico e non se ne fa cenno nella bozza di Ddl circolata in questi giorni.
«Ma dove è scritto che l'abbiano cancellata? È tutto ancora da definire e peraltro a trattativa privata fra il Governo e la Regione richiedente. Invece serve un ampio dibattito nel Parlamento e nel Paese. E poi non possiamo non domandarci: le politiche pubbliche che senso hanno se in Veneto le fa la Regione e in Basilicata le fa il ministero? L'impatto di questa riforma va valutato su tutti i cittadini italiani».


Se il Ddl passasse così com'è, cosa pensa accadrà?
«Succederà che tutti chiederanno tutto. Ci sarà una rincorsa affannosa anche dei presidenti delle Regioni del Centro e del Sud, che avranno voglia di gestire maggiore potere. Con le concessioni che oggi si fanno ad alcuni, si apre la strada per concedere tutto a tutti. Ecco perché ritengo si debba necessariamente passare da una modifica dell'articolo 117 della Carta costituzionale».


Lei per primo nel 2019 ha parlato di «secessione dei ricchi» a proposito dell'autonomia differenziata. Trova che questa definizione sia calzante ancora oggi?
«I problemi di cui discutiamo sono nazionali, valgono per tutti i cittadini. In più da parte di Veneto e Lombardia, con il silenzioso assenso dell'Emilia Romagna, c'è il tentativo di ottenere più risorse rispetto a quelle che il Governo centrale già spende nei loro territori. Questa impostazione è fortemente lesiva dei principi costituzionali, ma è stata accettata dal Governo Gentiloni nel 2018. Sono trascorsi quattro anni, gli angoli sono stati smussati, ma restano sul piatto le criticità. Una legge del 2009 prevede che i trasferimenti di risorse a Regioni e Comuni avvenga sulla base dei fabbisogni e non più della spesa storica, che dà di più a chi già ha tanto. Quella norma è rimasta inattuata. Dunque prima di concludere il percorso dell'autonomia differenziata va risolto questo vulnus politico. E non è escluso che, dopo, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna vogliano fare marcia indietro».


Siamo il Paese delle riforme a metà, professore. Perché?
«Per la debolezza del Governo centrale, che si è manifestata dopo la modifica del Titolo V della Costituzione e perché con la grande crisi del primo decennio del Duemila, dare più risorse a qualcuno avrebbe significato togliere quelle risorse ad altri: è politicamente difficile togliere al Nord per dare al Sud. Oggi, poi, sulla scena ci sono dei grandi assenti».


A chi si riferisce?
«Mi riferisco al fatto che i partiti - dal Partito democratico a Fratelli d'Italia - siano completamente afoni. È clamoroso. La Lega fa il suo gioco: portare vantaggio ai suoi territori senza farlo vedere troppo. I Cinque Stelle hanno lavorato a difesa del Mezzogiorno. Tutti gli altri sono silenti. I partiti esistono per governare la complessità, altrimenti a che servono?».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA