Vaccini ai medici, intervista al professore Troisi: «I tempi dell’impugnazione sono chiusi»

"Via incidentale? Poco diffusa ma si può"

Vaccini ai medici, intervista al professore Troisi: «I tempi dell’impugnazione sono chiusi»
di Alessio PIGNATELLI
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Giovedì 3 Novembre 2022, 05:00

Michele Troisi, professore associato di istituzioni di diritto pubblico presso l’Università del Salento, ci aiuti a sbrogliare questa matassa: chi ha ragione nella questione dell’obbligatorietà vaccinale per gli operatori sanitari?
«Facciamo un passo indietro. Quello dell’obbligo vaccinale deciso dal decreto legge, contrariamente a quello che può sembrare, non era tanto una norma di tutela della salute che è competenza concorrente tra Stato e Regioni. Quella legge era un atto emergenziale che riguardava più la materia della profilassi internazionale che è competenza esclusiva dello Stato. Lo Stato era intervenuto perché il tema era un gradino più alto dell’altrettanto importante tutela della salute. Ora, è la stessa Regione che estende, nel 2021, l’obbligo alla vaccinazione anti Covid integrando una precedente legge regionale del 2018. Ma probabilmente commette un autogol».
Cioè?
«Quell’articolo 1 della Legge regionale è fondamentale perché verso la fine dice “purché la pratica di prevenzione sia prescritta in forma di obbligo o raccomandazione dalla legislazione statale, ovvero contenuta in disposizioni normative statali eccezionali e d’emergenza”. In sostanza quanto scritto nel 2018 si estende al Covid 19 in concomitanza di una legge statale. Lo stop all’obbligo vaccinale per i sanitari deciso dal governo cambia la situazione: qual è la gamba sulla quale regge la legge regionale? Si parla di atti emergenziali o eccezionali che sono venuti meno e perderebbe efficacia anche la Legge regionale».
Dalla Regione però si fa notare che c’è anche un passaggio in cui si citano “atti amministrativi nazionali diretti a favorire la massima copertura vaccinale della popolazione e per questo aventi efficacia integrativa del Piano nazionale vaccinale”.
«Interpretazione che potrebbe valere. Potrebbero fare affidamento su quest’ultimo profilo nella seconda parte dell’articolo 1 che è più generico. Mi sembra evidente, però, che ci sia sempre un collegamento alla fattispecie emergenziale che viene a mancare con la decisione del governo Meloni».
Arriviamo al punto: i tempi. Sono trascorsi più dei 60 giorni per impugnare la legge, ci sono altre strade?
«A complicare ancora più la vicenda c’è l’articolo 127 della Costituzione che stabilisce i termini entro cui possono essere impugnate le leggi. Il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. E viceversa. Chiaramente, all’epoca non fu impugnata poiché era adesiva alla situazione a livello nazionale. Ora i margini di manovra del governo centrale si sono ristretti».
E la via incidentale? Potrebbe un giudice, nel corso di un processo, sollevare d’ufficio o su istanza di parte davanti alla Corte costituzionale la questione sulla legittimità costituzionale?
«Non è molto diffuso. Ad esempio nella sentenza numero 91 del 2013 la Corte ha accolto un giudizio sollevato dal Tar Campania contro una legge regionale campana. Sarebbe un caso abbastanza particolare, di solito il binario è un altro ma in questa situazione tutto può accadere».
Professore, esiste anche un problema di discriminazione tra operatori sanitari tra diverse Regioni?
«Questo è il problema per cui si era intervenuto con una legge statale: per evitare discriminazioni tra un medico in Puglia rispetto a uno campano o laziale. Il ragionamento è molto complesso, poi la polemica a noi non interessa ma il dato politico è evidente: adesso il tira e molla ha quella matrice e va oltre ogni giudizio prettamente tecnico».

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