Fuga dagli alberghieri e dai professionali: iscrizioni dimezzate dopo la pandemia

Fuga dagli alberghieri e dai professionali: iscrizioni dimezzate dopo la pandemia
di Giuseppe ANDRIANI
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Giovedì 2 Giugno 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 20:13

In due anni gli iscritti agli istituti professionali per i servizi in Puglia sono diventati la metà. L’onda lunga del “mamma, voglio fare lo chef” sembra essersi esaurita così come si è esaurita la spinta di chi sceglieva una scuola che lo portasse nel mondo del lavoro nel giro di pochi anni. I professionali per i servizi hanno quattro indirizzi base (da cui poi partono ulteriori ramificazioni): agricoltura e sviluppo rurale, servizi socio-sanitari, enograstronomia e ospitalità alberghiera e servizi commerciali. In totale in Puglia nel 2018/19 erano in 24.547 ad aver scelto una scuola di questo tipo, nel 2020/21 invece soltanto in 12.986. È cambiata, negli anni, anche la propensione dei ragazzi verso il professionale. Troppo poco per imputare a questo la crisi dell’intero settore turistico nella ricerca di personale qualificato e ancor prima di personale, ma l’orizzonte sembra ancor meno roseo, se possibile. Non c’è soltanto difficoltà a reperire lavoratori per questa estate, per cui mancano circa 350.000 tra camerieri, guide turistiche e baristi, secondo la stima del ministro al Turismo Massimo Garavaglia, ma la sensazione è che questo problema possa persino cronicizzarsi. E i dati di iscrizione dei ragazzi al primo anno delle scuole superiori suggeriscono una lettura della situazione ancora più complicata del previsto.

Iscrizioni dimezzate in Puglia

Fuga dai professionali per i servizi, una fuga che ha visto i quattro indirizzi perdere 12.000 iscritti nel giro di due anni, 6.000 per anno.

Ma perché? In tanti nelle ultime settimane hanno parlato di un “effetto Masterchef” ormai definitivamente sfumato. Pensare ai cuochi come rockstar, il frutto dei tanti programmi di cucina nella tv degli ultimi dieci anni, aveva “drogato” il mercato, portando a un boom nel 2014/15, con un ritmo però impossibile da reggere. Il vero problema è che il crollo è stato più pesante di quanto si potesse immaginare. 

Il trend nazionale

La fotografia che emerge dai numeri nazionali sulle iscrizioni specifiche agli istituti alberghieri preoccupa ancor di più. Nel 2014/15, l’anno con il record assoluto, erano in 64.296 i “primini”, per diventare appena 34.015 nel 2021/22. Segno inequivocabile di una fuga anche dal settore. oltre che una discesa progressiva e inarrestabile. E, come raccontano i presidi degli istituti, anche i lavoratori delle aziende che fanno formazione costante non sono poi tanti, anzi fin troppo spesso i corsi, soprattutto durante l’inverno, rimangono deserti o quasi. La preoccupazione legata ai numeri elencati, insomma, non è da esaurirsi in un’estate, quella imminente, che già si presenta come nefasta, se a inizio giugno i profili mancanti sono così tanti. Le soluzioni? Intanto provare ad impattare e gli imprenditori del settore fanno quello che possono. C’è chi resta chiuso per un paio di giorni a settimana, aumentando il giorno di riposo settimanale per tutti i dipendenti, così da non dover far ruotare il personale, c’è chi - invece - ha ridotto i coperti. Ma c’è anche chi non è riuscito a riaprire e per il momento ha abbassato la saracinesca, aspettando tempi migliori e provando a riorganizzarsi in vista del vero periodo clou. 
La fuga dai professionali, per altro, non coinvolge esclusivamente il settore alberghiero, ma si estende anche alla ricezione turistica. E il problema della formazione esiste anche in altri ambiti, non ultimo quello delle guide turistiche, dove aumentano le richieste - spesso rimaste insolute - sia da parte dei Comuni o degli enti istituzionali, sia da parte dei singoli tour operator, che lamentano anche la lentezza della Regione nell’indire nuovi concorsi per l’abilitazione e una situazione di stallo che va avanti ormai da troppo tempo. E se le guide non ci sono, i ragazzi hanno scelto strade diverse da un lavoro stagionale. 

Un cambiamento culturale

Il cambiamento è culturale, è nella testa dei ragazzi che iniziano la scuola ed è anche nella testa di coloro che iniziano a lavorare. Farlo sei giorni su sette, i turni massacranti, a volte anche la gavetta: la pandemia sembra aver cambiato non tanto le abitudini dei ragazzi, quanto le aspirazioni. Un po’ come se questo fosse il momento di riprendersi la dimensione sociale che da marzo 2020 in poi è mancata per lunghi mesi trascorsi in casa, tra didattica a distanza e stage effettuati in una call costante. Riprendersi la socialità, sì e senza mezzi termini, anche a costo di rifiutare un posto di lavoro. I racconti degli imprenditori ma anche gli sfoghi dei giovani sui social vanno tutti nella stessa direzione: c’è una falla nel sistema e la manodopera, così, non si trova. Non solo un problema di formazione e di retribuzione adeguata, il tunnel sembra non avere via d’uscita se non con una riforma che vada innanzitutto a cambiare le carte dal punto di vista fiscale, come ormai chiedono tutti i soggetti interessati. È l’ora di cambiare la prospettiva, venir fuori dallo scontro e trovare una soluzione. E lo chiedono tutte le parti in causa: ragazzi, imprenditori e sindacati.
 

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