Cotarella: «Troppo giovane per il Nobel ma il vino pugliese c'è vicino»

Cotarella: «Troppo giovane per il Nobel ma il vino pugliese c'è vicino»
di Leda CESARI
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Domenica 23 Settembre 2018, 19:45 - Ultimo aggiornamento: 19:56

Quel giorno arriverà. E non è neanche troppo lontano, vede e prevede Riccardo Cotarella, mago del vino italiano (e non solo). Basta che i viticoltori di Puglia continuino a fare quel che stanno facendo negli ultimi anni, e ogni classifica sarà scalata: da quella recente del Best Italian Wine Awards, che ci vede per ora tristemente assenti, fino alle vette dell'enologia mondiale. I fatti sembrano già dargli ragione. Di ieri la notizia che per la prima volta un rosato pugliese si è aggiudicato i Tre Bicchieri, massimo riconoscimento della Guida del Gambero rosso: il più antico e prestigioso rosato italiano e pugliese ovvero il Five Roses 74° Anniversario 2017 della Cantina Leone De Castris, che ha come enologo Marco Mascellani ma come consulente, appunto, Riccardo Cotarella. Nocchiero di Assoenologi Italia dal 2013, presidente dell'Union Internationale des nologues, da qualche giorno anche Chevalier de l'Ordre du Mérite Agricole, assegnatogli dall' Ordre du Mérite Agricole, ente onorifico istituito in Francia nel 1883 dal ministro delle Politiche Agricole Jules Méline per premiare le personalità meritevoli di aver reso grandi servizi all'agricoltura (e sì che i cugini d'Oltralpe non sono mai troppo generosi con noi), Cotarella, ternano, enologo ma anche agronomo e produttore vitivinicolo della cantina di famiglia Falesco, lavora con importanti realtà in tutta Italia e anche nel resto del mondo, impegnandosi solidalmente per progetti di grande valore sociale come quello enologico della comunità di San Patrignano e del Cremisan, monastero salesiano al confine tra Israele e Palestina. Ma non disdegna neppure la Puglia e il Salento, dove è in prima linea anche con Cantina Due Palme.
Vini di Puglia totalmente esclusi dalla classifica 2018 dei cinquanta del Best Italian Wine Awards. Dobbiamo offenderci, presidente?
«Io non parlerei di questa classifica in particolare, perché alla fine cinquanta vini sono una minima parte di quelli italiani, e questo lo dico senza nulla togliere al valore del riconoscimento in questione e della sua prestigiosa giuria. Bisogna però anche aggiungere che l'importanza di un vino, al di là della sua qualità, la fa soprattutto la sua storia. E purtroppo la nostra regione la chiamo così perché professionalmente mi sento anch'io pugliese si è messa sulla strada della qualità da pochi decenni. La sua rinascita enologica, insomma, è fatto di una sola generazione di produttori, e questo incide certamente sui giudizi di queste classifiche così selettive e particolari. La Puglia è stata artefice di veri e propri passi da gigante, negli ultimi decenni, producendo grandi rossi e rosati grazie al Primitivo, al Negroamaro, al Nero di Troia: ora, però, bisogna aggiungere la parte più importante del lavoro, la capitalizzazione di tutto questo impegno. Bisogna insomma far conoscere al mondo tutto ciò che si è fatto al riguardo».
Il vino pugliese è insomma troppo ragazzino per ambire a questi riconoscimenti?
«Guardi, le famose navi cisterna che trasferivano il vino del Sud Italia per irrobustire i vini del Nord Italia ed Europa solcavano i mari non più di qualche decennio fa. La storia dei vini piemontesi e toscani, invece, la dice lunga sui secoli di lavoro di alcune famiglie di produttori per creare una tradizione enologica importante. Sono certo quindi che la Puglia sarà una delle prime regioni meridionali a conseguire traguardi importanti, ma non è solo un discorso di qualità. Ci vuole anche il contorno di tutto questo: la storia enologica, la cura dei paesaggi, la possibilità e la voglia di auto-conoscersi per potersi raccontare. Oggi, grazie alle tecnologie produttive e ad Internet, tutto questo sarà più facile. Ma ci vuole tempo».
Ma non è questo pensare, in fondo, un pregiudizio nei confronti del vino pugliese? Troppo giovane per raggiungere le vette enologiche, appunto?
«Non credo. Parliamo di professionisti di grande valore, se dubitassimo dei loro giudizi dovremmo dubitare di tutto. Certo, tutto ciò che è umano è soggettivo e può essere influenzato dall'ego e dalle ideologie, e il vino perfetto non esiste neanche in Francia o in Toscana, ma non credo che si possa essere prevenuti sul vino pugliese. Il problema, ripeto, è che rispetto ad altre realtà enologiche scontiamo un gap secolare. Soprattutto in termini di autoconsapevolezza, atteggiamento mentale che richiede decenni e decenni di lavoro. Il vino non è solo una bevanda: è cultura, passione, tradizione, convivialità, e queste sue caratteristiche vanno raccontate come si deve, e non è né semplice né banale. Altri Paesi ci hanno messo secoli, per caratterizzare i propri territori e i propri vini. Ed è questo che, ancor oggi, fa la differenza».
E poi, ovviamente, l'enologo.
«Figura oggi totalmente diversa dal professionista dei miei esordi. Allora stava chiuso in cantina, oggi l'enologo deve soprattutto avere doti di comunicatore, perché il consumatore non ha l'anello al naso, ma è appassionato che, prima di comprare un vino, studia e si informa. E l'enologo, che è colui che lo vede nascere, non può più cavarsela con quattro righe su una scheda tecnica. Deve saper raccontare il vino e tutto ciò che gli sta intorno».
In conclusione, lei dice, niente panico: il vino pugliese è sulla buona strada e presto vedremo anche le etichette di Puglia ai primi posti di queste classifiche che ora sembrano così irraggiungibili.
«Io lo darei per scontato, e non manca neanche molto tempo, secondo me. La Puglia dei vini è in grande spolvero: ha qualità, paesaggio, bellezza, due mari che la rendono irresistibile.

E poi ha avuto un grande mentore, il senatore Dario Stefàno, che ha fatto di questa terra una delle più importanti del mondo per i rosati. Bisogna fare di più, certo, ma vedrete che, continuando così, i risultati prestigiosi arriveranno».

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