Trivelle, Bellanova in campo: «Basta demagogia»

Trivelle, Bellanova in campo: «Basta demagogia»
di Francesco G.GIOFFREDI
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Martedì 29 Marzo 2016, 06:26 - Ultimo aggiornamento: 11:44
Da qui al 17 aprile il faro resterà puntato sulla Puglia, ormai la principale trincea della battaglia referendaria: il governatore Michele Emiliano è la testa d’ariete del fronte “no triv” (gli altri presidenti di Regione giocano con i distinguo, i se, i ma, i “non posso” o le retromarce), e come tale è ormai etichettato e visto da palazzo Chigi. Dunque: un agguerrito avversario del governo Renzi. Sulla scacchiera s’è mossa allora anche una pedina di spessore dell’esecutivo, qual è Teresa Bellanova: viceministro allo Sviluppo economico, deleghe in materia energetica, eletta col Pd e pugliese doc. Proprio come il governatore che sta infiammando le tappe d’avvicinamento al quesito referendario (l’unico quesito superstite riguarda la durata delle concessioni per impianti d’estrazione di gas e petrolio già in essere). Bellanova, in una intervista a L’Unità, ha sposato in toto la linea ufficiale del governo e del partito: «Il 17 aprile non andrò a votare. Stiamo assistendo a una campagna referendaria da parte dei sì fatta di slogan e demagogia, che se sul futuro energetico nazionale del Paese si potesse parlare seminando terrore».

La viceministro non cita mai apertamente Emiliano, ma il destinatario dei moniti si legge con chiarezza in filigrana: «Ci sono piattaforme di estrazione da più di quarant’anni nei nostri mari. Non c’è stato mai un pericolo per l’ambiente. Ci sono funzionari e tecnici che svolgono un lavoro enorme per verificare e garantire la sicurezza dei siti»; e per le rinnovabili il governo non ha già stanziato «oltre 6 miliardi di incentivi fino al 2013 e altri stiamo per darne con un nuovo decreto sulle rinnovabili non fotovoltaiche», anche se «il petrolio, e soprattutto il gas, in questa fase di transizione ci servono e in mare si estrae prevalentemente gas, il cui impatto ambientale è pari allo zero», ma «il confronto portato avanti con slogan e demagogia non tiene conto di queste cose e sta già producendo danni alla nostra economia, uno dei motivi per cui sarebbe stato meglio non farlo il referendum» per questo «dannoso e inutile».

Il nodo è anche economico: «Nel settore stanno velocemente crollando gli investimenti. L’annuncio del referendum ha fatto già fuggire dall’Italia sei miliardi di euro tra il 2014 e il 2015. La vittoria dei sì ce ne farebbe perdere altri sette» e «secondo le stime più contenute pochi mesi dopo la vittoria dei sì ci troveremmo con 5mila posti di lavoro in meno, compreso l’indotto», senza trascuare «i costi enormi una volta che tutte le concessioni finiranno» perché «i pozzi dovranno essere chiusi con un costo stimato per difetto intorno ai due miliardi di euro» e «la chiusura di un pozzo non ancora completamente esaurito è anche un’operazione pericolosa, oltre che costosa. Noi, tra l’altro, stiamo parlando delle piattaforme entro le 12 miglia marine, quelle di cui si occupa il referendum. Ma con la vittoria dei sì le aziende abbandoneranno anche tutte le altre ed è da irresponsabili non tenere conto di tutto questo».

Emiliano non ha replicato direttamente a Bellanova, ma ha continuato a macinare la sua personale campagna “social” per il “sì” al referendum del 17 aprile. Chi ha risposto alla viceministro è Pietro Lacorazza, presidente del Consiglio regionale della Basilicata e tra i leader del comitato promotore referendario: «Veramente è difficile resistere a cose francamente inesatte. Nel settore stanno velocemente crollando gli investimenti? Ma se i quesiti sono stati depositati il 30 settembre 2015 e la Corte Costituzionale ha dato il via libera a gennaio 2016, come può essere accaduto che nel 2014 e 2015 i miliardi siano fuggiti per colpa del referendum?».

Nel Pd pugliese si procede in ordine sparso, intanto. Emiliano trascina con sé di fatto tutta la giunta e la maggioranza consiliare (con un paio di eccezioni tra i consiglieri renziani), i parlamentari si spaccano (tra chi sposa la linea filo-governativa e chi comunque andrà a votare), e adesso si schiera anche l’area Pittella: «Dispiace constatare - spiega Mino Carriero, segretario generale LabDem - come elementi del comitato per il sì a livello nazionale stiano trasformando la campagna in un referendum contro il governo, additato di non avere alcuna coscienza ambientale, nonostante gli accoglimenti della gran parte dei quesiti rilevati dalle Regioni, mettendo al centro il Parlamento che ha impresso una svolta rispetto alle nome contenute nella prima versione dello “Sblocca Italia”. Oggi un “sì” il 17 Aprile va vissuto al netto delle ragioni propagandistiche di parte delle opposizioni e di chi vuole farne un uso strumentale nel Pd. Serve, nonostante la quasi impossibilità di raggiungere il quorum, un “sì” per attenzionare l’opinione pubblica su una economia mondiale che ha bisogno di energia, ma che sempre meno potrà ricorrere agli idrocarburi».
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