E a Taranto lavorava il marito della magistrata: da pupillo a nemico del procuratore jonico

E a Taranto lavorava il marito della magistrata: da pupillo a nemico del procuratore jonico
di Francesco CASULA
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Mercoledì 20 Maggio 2020, 08:20 - Ultimo aggiornamento: 08:32
«A partire dal gennaio del 2018 ho vissuto presso la Procura di Taranto una situazione da incubo». Lanfranco Marazia, il pm marito della magistrata che ha innescato l'inchiesta con la sua denuncia, era considerato il «pupillo» del procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo al punto che, dopo l'unificazione dei due uffici della Procura ionica, a lui era stato riservato uno di quelli più grandi e accoglienti e, soprattutto, proprio accanto all'ufficio del capo.

Ma quel rapporto stretto, improvvisamente si rompe. Le numerose telefonate che Capristo rivolgeva a Marazia per avere delucidazioni o chiedere pareri, da un giorno all'altro si azzerano. Nei corridoi, addirittura, Capristo nega il saluto al giovane magistrato di Bitonto. Lo spartiacque è segnato da un evento che risale a settembre 2017. Quella mattina Lanfranco Marazia con il collega Alessio Coccioli sta eseguendo un maxi sequestro per l'operazione Araba fenice sul presunto traffico di rifiuti tra l'ex Ilva, Cementir e la centrale Enel di Brindisi. In quelle ore gli investigatori intercettano una telefonata di un indagato che a un legale racconta cosa stesse accadendo: il legale, però, afferma di essere al corrente della questione perché informato il giorno precedente da Capristo. Marazia, allora, non perde tempo: scrive alla procura di Potenza e denuncia la fuga di notizie.

Qualche tempo dopo viene chiamato come testimone sulla faccenda: una convocazione segretissima di cui Marazia non parla con nessuno. Eppure Capristo sembra saperlo perché da quel momento in poi il rapporto con il suo pupillo viene cancellato. «Il lunedì immediatamente successivo racconta Marazia ai colleghi di Potenza si verificò un fatto inaspettato: ricordo che mi trovavo sull'uscio della porta del mio Ufficio, vicino alla segreteria del Procuratore, vidi arrivare Capristo in lontananza già da quando attraversava il corridoio dopo essere uscito dall'ascensore. Lo salutai cordialmente e lui vistosamente ed inequivocabilmente voltò il viso dall'altra parte e non mi salutò».

Da quel momento, racconta il giovane magistrato, comincia l'isolamento: nessuna chiamata è mai più arrivata dal procuratore che tuttavia in pubblico manteneva comunque un rapporto di correttezza nei suoi confronti. Negli anni a Taranto, il giovane pubblico ministero aveva seguito casi particolarmente delicati. Come l'inchiesta antimafia Città nostra sul tentativo di alcuni boss usciti dal carcere di rimettare nuovamente le mani sulla città. Oppure il maxi sequestro della strada statale dei trulli e del depuratore di Martina Franca e il sequestro con l'accusa di disastro ambientale della discarica Vergine che per anni aveva ammorbato gli abitati di alcuni comuni della provincia con terribili emissioni odorigene e nubi di gas. «Mi allontanò del tutto, da un giorno all'altro con riferimento alle attività professionali Ero escluso da qualsiasi effettiva interlocuzione con il procuratore». Il pupillo «dal giorno alla notte» era stato messo da parte.

E così matura la scelta di lasciare la procura di Taranto e trovare una migliore condizione ambientale a Bari: «Avendo capito che il Procuratore Capristo mi aveva preso in antipatia ha aggiunto negli interrogatori temevo che potessi incappare in una qualsiasi piccola leggerezza che mi sarebbe stata immediatamente contestata almeno disciplinarmente».
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