Tap, stesso copione (o quasi) E il fronte del no si ribella

Tap, stesso copione (o quasi) E il fronte del no si ribella
di Francesco G. GIOFFREDI
4 Minuti di Lettura
Giovedì 25 Luglio 2019, 13:20
Lo stesso schema, lo stesso binario, lo stesso esito. Ma con qualche sfumatura tattica e politica diversa, che riaccende la ribellione dei no Tap salentini. C'è un filo invisibile e inscindibile che lega Tav e Tap - ben oltre la semplice assonanza: entrambe sono grandi opere di respiro internazionale, entrambe osteggiate dalle comunità locali, ed entrambe funzionano come una specie di sismografo delle tensioni del governo M5s-Lega. Anzi: nel caso dei pentastellati, l'alta velocità Torino-Lione e il gasdotto con approdo salentino misurano inesorabilmente la distanza tra promessa elettorale e impatto con la dura realtà di governo. A ottobre era stato servito un ricco antipasto del piatto-Tav di questi giorni: il premier Giuseppe Conte e i ministri competenti (anche quelli del M5s, sempre schierato sulla trincea NoTap) avevano ammesso che sì, stracciare il progetto del gasdotto sarebbe costato al Paese all'incirca 20 miliardi (non di penali, ma di azioni risarcitorie degli investitori). Insomma, il copione non si discosta di una virgola: le tesi contrapposte, la valutazione costi-benefici, la presa di coscienza di vincoli e accordi internazionali, infine il sì all'opera - obtorto collo anche dei pentastellati.
C'è però una differenza: oggi i cinque stelle sfoggiano un piglio più battagliero, al punto da reclamare il passaggio parlamentare prima di archiviare il dossier. Non andò così per il gasdotto, il che fa urlare ancora una volta al «tradimento» i no Tap. A cominciare dal sindaco di Melendugno Marco Potì, che molto confidava nella sponda pentastellata: «Non solo non hanno portato la questione in Parlamento, ma non ci fu nessuna analisi costi-benefici. Quando a ottobre il premier Conte, i ministri Costa e Lezzi e il sottosegretario Cioffi ci dissero che costava troppo rinunciare all'opera, ammisero che non c'era una relazione e quelle cifre erano solo il frutto di una valutazione personale di Cioffi. Su Tav invece c'è stata una commissione ad hoc». In realtà è stato lo stesso Mise in una lettera a spiegare ai NoTap come maturano i 20 miliardi (in estrema sintesi: dal risarcimento danni che dovrebbe essere liquidato agli investitori). «Il punto è - continua Potì - è che hanno considerato quella su Tap una battaglia solo locale, senza capire che da quella situazione sarebbe crollata la credibilità del M5s, a Melendugno come altrove. Se ti impegni perché ritieni una battaglia una questione di principio, non è più possibile tornare indietro. Soprattutto con questi trucchetti da prestigiatore dell'avvocato d'affari Conte». Peraltro, Potì ritiene che il gasdotto possa essere fermato: «Basterebbe applicare la legge: l'opera verrebbe bloccata per errata rappresentazione dei luoghi da parte del proponente o per assenza di atti autorizzativi. Il primo fronte su cui stiamo combattendo è la procedura di verifica di assoggettabilità a Via del microtunnel, che impatta su habitat marini protetti. E poi con Regione e Arpa ci stiamo attivando per il riconoscimento del Sito d'interesse comnunitario. Infine, abbiamo chiesto al ministero la documentazione per delle opere realizzate in variante: se non otterremo nulla, allora emetteremo ordinanza di ripristino dei luoghi».
Veronica Giannone, salentina, è tra gli ultimi espulsi dal M5s. Ora, prova ad addentrarsi nelle analogie e differenze tra Tav e Tap nell'ottica pentastellata: «Ricordo che dovevo essere ospite in una tv nazionale per parlare dei due dossier, mi fu consegnato dal M5s un testo scritto che spiegava perché secondo noi Tap non si poteva bloccare e Tav invece sì, pur essendo entrambe opere inutili e dannose. Mi rifiutai di andare in tv, ma già all'epoca colsi la differenza di valutazione sulle due opere: l'alta velocità in Val Susa è una delle prime battaglie del movimento; e poi, dopo il calo registrato alle Europee, ora il M5s ha bisogno di tenere il punto su alcuni temi caratterizzanti per non perdere altri elettori. Ma già avevo capito che in ogni caso si sarebbe arrivati alla realizzazione dell'opera». Poi, la provocazione: «I parlamentari cinque stelle vogliono marcare la loro posizione su Tav votando no in aula? Benissimo, allora staccassero anche la spina a questo governo».
Secondo Diego De Lorenzis, deputato pentastellato salentino, c'è tuttavia un «discrimine enorme»: «Tap è un'opera privata autorizzata dallo Stato, e se revochi quelle autorizzazioni senza un motivo sei soccombente; il Tav è un'opera pubblica, che ha l'avallo della Commissione europea e su cui c'è un accordo internazionale alla pari con un altro Paese. Il premier e il ministro Toninelli hanno sempre manifestato all'Ue e alla Francia la volontà del Paese di voler ridiscutere integralmente l'opera. Adesso la Commissione europea ha confermato che la quota di finanziamento sale, la Francia ha ribadito la volontà di andare avanti, e questi elementi incidono senz'altro sull'analisi costi-benefici. Non credo, insomma, che Conte abbia sbagliato, ma ciò non toglie che nella valutazione complessiva del M5s quest'opera non rappresenti una priorità. Tap e Tav hanno un elemento in comune, poi: si tratta di progetti blindati ben prima del nostro arrivo al governo. Però su Tav speravamo di poter avere una diversa forza in Europa per ridefinire le priorità. In ogni caso, il contratto di governo parlava di revisione dell'opera e molte cose in effetti sono cambiate».
© RIPRODUZIONE RISERVATA