Sud e ricerca, scontro sui bandi Prin. La ministra Messa: «Più fondi con altri avvisi»

Sud e ricerca, scontro sui bandi Prin. La ministra Messa: «Più fondi con altri avvisi»
di Paola ANCORA
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Giovedì 28 Aprile 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 14:35

Un richiamo alla libertà di scienza, la promessa di garantire al Sud il 50% dei fondi nel prossimo bando per i Progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale (Prin) e poi la messa in guardia: bloccare l’iter di assegnazione dei finanziamenti ostacolerebbe il raggiungimento degli obiettivi posti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e costringerebbe il Governo a restituire le risorse all’Europa. La difesa del ministero dell’Università dalle accuse rivoltegli da quindici docenti di atenei del Sud si incardina su questi tre assi.

I professori hanno trascinato il Mur - al timone del quale c’è la ministra Maria Cristina Messa - davanti al Tar del Lazio contestando la violazione della legge nazionale sul Pnrr, laddove prescrive che il 40% delle risorse stanziate per ciascun bando debba andare al Mezzogiorno.

La clausola poi scomparsa

Inizialmente anche quello per i Prin rispettava questa clausola: era prevista, infatti, una specifica “linea Sud”, poi scomparsa.

Il bando firmato dal direttore del Mur Vincenzo Di Felice, infatti, è stato modificato tre volte in una manciata di giorni ed è scaduto il 31 marzo scorso. Il tempo di affidare l’incarico legale all’avvocato Andrea Abbamonte e i quindici docenti – tutti delle università di Napoli “Federico II” e “Vanvitelli”, degli atenei di Bari, Lecce e L’Aquila – hanno depositato il ricorso al Tar chiedendo l’annullamento del bando.

«Va sempre rispettato il criterio di riequilibrio territoriale previsto dalla legge dello Stato sul Pnrr» hanno detto i docenti Sandro Staiano e Gianfranco Viesti, rispettivamente direttore del Dipartimento di Giurisprudenza alla Federico II e ordinario di Economia Applicata nel capoluogo pugliese. Nella memoria difensiva consegnata all’Avvocatura dello Stato, che lo difende in giudizio, il ministero ha chiarito la sua posizione. Ha innanzitutto precisato che il budget di un miliardo e 80 milioni destinato ai Prin «non è ancora stato del tutto finalizzato nei rispettivi bandi ministeriali in quanto il Pnrr è in corso di attuazione. Non a caso – prosegue nella memoria il direttore Di Felice - nella programmazione del Ministero è già annoverata la pubblicazione di un nuovo bando Prin per 420 milioni di euro che (...) prevederà un’espressa e specifica riserva per il Sud pari al 50% dello stanziamento complessivo».

Ma se il criterio del 40% varrà per il prossimo bando, perché non anche per questo? Sul punto il ministero si appella alla libertà di scienza tutelata dalla nostra Costituzione, all’articolo 33. Il bando, infatti, prevedeva il finanziamento di progetti presentati da gruppi di lavoro anche inter-ateneo. E quindi «si è ritenuto opportuno lasciare i beneficiari liberi di aggregarsi nel gruppo di ricerca – prosegue Di Felice - senza istituire vincoli di partecipazione che avrebbero senz’altro pregiudicato quella libertà». Non solo. «Non è possibile prevedere a monte di una procedura selettiva quante risorse saranno effettivamente riconosciute in favore delle regioni del Sud a fronte di una valutazione di qualità dei progetti. (…) L’allocazione territoriale delle risorse non può infatti prescindere dalla procedura di selezione e dal principio cardine del Prin che è proprio quello di consentire la realizzazione di progetti di rilevante interesse nazionale».

I gap e i progetti

Per il Paese, insomma, la qualità e il valore dei progetti presentati - è la linea del ministero dell’Università - viene prima della geografia e anche della necessità di colmare il gap fra Nord e Sud. I docenti ricorrenti non la pensano allo stesso modo, ritenendo che le due esigenze vadano contemperate per non violare la legge dello Stato sul Pnrr. Chiudendo la sua memoria difensiva, il ministero mette in guardia poi dalla possibile sospensione del bando Prin 2022 richiesta dai docenti nel ricorso depositato al Tar dall’avvocato Abbamonte. «L’effetto sarebbe devastante per tutti i partecipanti, trattandosi di un avviso finanziato con fondi del Pnrr, che vengono erogati per raggiungimento di target annuali». Entro la fine del 2022, infatti, dovranno essere finanziati 1.200 progetti di ricerca. «È ragionevole ritenere - chiude Di Felice - che un arresto della procedura in questo momento non consentirebbe di rispettare il target annuale con elevata probabilità di perdere il finanziamento comunitario per l’anno 2022 e per i successivi anni». La parola, adesso, passa ai giudici.

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