Fse, spese folli e incarichi d’oro: così utilizzavano i soldi pubblici

Fse, spese folli e incarichi d’oro: così utilizzavano i soldi pubblici
di Vincenzo DAMIANI
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Venerdì 2 Febbraio 2018, 20:41 - Ultimo aggiornamento: 21:19

Un’azienda con 1200 dipendenti “gestita come l’orticello di casa”, spese folli, co.co.co auto-attribuiti del valore complessivo di 7 milioni di euro, appalti gonfiati per lavori, alcune volte, nemmeno eseguiti: così Ferrovie Sud Est è stata portata quasi al fallimento, con debiti che hanno superato i 200 milioni. I 14 anni di presunta malagestione dell’azienda di trasporto – dal 2001 al 2015 - sono ricostruiti, pezzo dopo pezzo, nelle oltre 400 pagine di ordinanza di custodia cautelare firmate dal gip del Tribunale di Bari, Alessandra Susca, che, ieri mattina, ha portato all’arresto di 11 persone, tra di loro l’ex amministratore unico, l’avvocato tarantino, Luigi Fiorillo, considerato dalla Procura barese il principale artefice del crac della società. Sono stati sequestrati anche 90 milioni di euro nei confronti di 15 indagati.
Il primo filone dell’inchiesta su Fse, dopo circa un anno e mezzo, è stato chiuso ma gli accertamenti della guardia di finanza proseguono: adesso gli inquirenti passeranno al “secondo livello” per individuare le responsabilità di chi avrebbe dovuto vigilare e, quantomeno, non l’ha fatto in maniera accurata. Ferrovie Sud Est era una società controllata dal ministero dei Trasporti, è lì che punta ora l’indagine. “Per lunghi anni il ministro dei Trasporti è stato socio unico di Ferrovie Sud Est ma solo l’ultimo ministro ha portato all’attenzione le anomalie commissariando la società”, ha evidenziato il procuratore capo Giuseppe Volpe durante la conferenza stampa. Un’altra parte degli accertamenti si concentrerà anche sulla verifica di eventuali responsabilità erariali degli indagati. Ferrovie Sud Est “è stata saccheggiata” secondo il procuratore aggiunto Roberto Rossi: “Ci sono stati sprechi di risorse per attività pagate ma non fatte, per servizi a prezzi fuori mercato o inutili”. Le indagini del resto hanno accertato che dei circa 230 milioni di euro di fondi distratti, ci sarebbero oltre 50 milioni di crediti indebitamente vantati, in alcuni casi anche da coloro che rispondono delle condotte fraudolente. In quasi due anni di indagini – cioè da quando l’ex commissario Andrea Viero portò le carte in Procura - la guardia di finanza ha lavorato su 49 diverse deleghe affidate dalla Procura sulla vicenda Fse.
Lo stato di crisi della società era conosciuto dagli indagati. Secondo la ricostruzione dell’accusa, “le difficoltà economiche dell’azienda si erano manifestate chiaramente già nel 2009, e a quell’epoca erano note ai dirigenti dell’area amministrativa di Fse”, riporta il giudice Susca. A conferma di ciò, nell’ordinanza viene riportata una sintesi dell’interrogatorio di un dirigente della società: “Il ragioniere Nicola Porcelli – scrive il gip - che ha lavorato nelle Fse per oltre 40 anni, prima come impiegato e poi come dirigente nell’area amministrativa con poteri di firma ma non di spesa, ha affermato di aver comunicato all’amministratore Fiorillo nell’anno 2009 che la società aveva una situazione economica difficile”. Secondo la Procura, Fiorillo e gli altri indagati, non avrebbero “mai agito nell’interesse della società e nonostante il passivo già presente sin dall’anno 2007 pari a 122 milioni di euro”. Quindi gli “Incarichi moltiplicati e contratti a fuori mercato”. Il giudice delle indagini preliminari sintetizza quelle che sono state le azioni che avrebbero portato Fse al dissesto finanziario: gli indagati “esternalizzavano a costi sempre crescenti attività fondamentali per la gestione di Fse, quali i servizi informatici e di contabilità, la progettazione e direzione dei lavori, la gestione dell’archivio, la selezione dei fornitori di beni e di servizi”; “moltiplicavano ingiustificatamente gli incarichi e i contratti con crescita esponenziale dei costi, come precisato nei seguenti capi di imputazione; “affidavano incarichi e stipulavano contratti affidati in violazione delle procedure di evidenza pubblica stabilite dal Decreto legislativo 12.4.2006 numero 163 e con violazione dei principi di economicità, trasparenza, motivazione nei casi di affidamento diretto e a cottimo fiduciario”; “affidavano incarichi e stipulavano contratti senza ricerca di mercato volta ad ottenere prezzi vantaggiosi ma, anzi, a prezzi fuori mercato per onerosità, e con indicazione generica dei criteri di determinazione dei corrispettivi, tali da consentire richieste eccessive rispetto alla attività, anche svolta, così determinando un notevole aggravio di costi per Fse a vantaggio unico del contraente”.
I debiti per oltre 200 milioni di euro accumulati dagli ex amministratori di Fse sarebbero stati causati dalla esternalizzazione a costi sempre crescenti di servizi informatici e contabilità, progettazione e direzione dei lavori, gestione dell’archivio, forniture di carburanti, compensi professionali e altri servizi. In particolare, Fiorillo, oltre al compenso professionale, avrebbe intascato circa 5 milioni di euro quali compensi per attività di supporto, senza averne le competenze, in 39 appalti di lavori pubblici su tutto il territorio regionale, addebitandoli come spese per il personale e più di 7 milioni sottoscrivendo co.co.co. a suo nome per attività - secondo l’accusa - mai svolte.
L’elenco presente nell’ordinanza delle spese folli è lungo: ci sono ad esempio i 19 milioni euro (poi non ammessi e quindi non rimborsati dalla Regione Puglia) ce sarebbero stati spesi per studi geologici e coordinamento della sicurezza in cantieri sulla tratta Bari-Taranto e nell’Area Salentina. Poi, circa 27 milioni di euro dati all’avvocato Angelo Schiano per attività di assistenza e consulenza legale. Altri 53 milioni di euro sarebbe stati indebitamente erogati per la gestione di servizi informatici. Ci sono ancora i 2 milioni di euro usati per la gestione dell’archivio storico, affidata al professor Franco Cezza e ai suoi familiari. Altre contestazioni riguardano l’acquisto e la manutenzione di treni dalla società Filben srl, altri 16 milioni per la gestione di polizze assicurative e predisposizione dei bandi di gara e 1,3 milioni di euro per l’affitto e i servizi di pulizia di un appartamento nel centro di Roma. Sono solamente alcune delle spese che avrebbero portato al quasi fallimento di Ferrovie Sud Est.
Basti pensare che, secondo i consulenti di cui si è avvalsa la Procura di Bari durante le indagini, il giro d’affari stimato, cioè l’ammontare dei fondi pubblici confluiti nelle casse di Fse nei 14 anni in esame, si aggira intorno ai 2 miliardi di euro: di questa somma, oltre il 10 per cento sarebbe stato dissipato a danno, non solo delle casse dell’azienda, ma anche dei pendolari pugliesi costretti a sopportare disservizi continui.

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