Riparte il turismo ma gli stagionali non ci sono. Lo studio: «Stipendi da fame rispetto al Sud»

Riparte il turismo ma gli stagionali non ci sono. Lo studio: «Stipendi da fame rispetto al Sud»
Riparte il turismo ma gli stagionali non ci sono. Lo studio: «Stipendi da fame rispetto al Sud»
di Pierpaolo SPADA
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Domenica 6 Giugno 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 09:01

Non è certamente tutta colpa del Reddito di cittadinanza. Dietro la grave carenza di stagionali nel turismo che la Puglia, come altre “mete”, sta patendo ci sono indiscutibili condizioni di lavoro. Indiscutibili, appunto: prendere o lasciare, visto che parliamo di compensi medi da 5-600 euro. Ci sono i dati Inps a svelare questo contesto. Riflettono sensazioni e fatti già descritti da lavoratori, sindacati e dirigenti scolastici nell’ambito dell’inchiesta avviata a metà maggio. Voci esplose in replica a quella di tutti quegli imprenditori e quei rappresentanti di associazioni di categoria che, in precedenza, avevano stigmatizzato il contributo che i sostegni di Stato starebbero esercitando nell’indebolimento dell’offerta.

Imprenditori e referenti del mondo associativo che hanno bollato la propria condizione come umiliata dalle risposte di tanti giovani e non percettori del reddito di cittadinanza che, a loro volta, hanno, appunto, reagito descrivendo lo sfruttamento subìto in anni di lavoro. Urla di dolore diffuse lungo tutto lo Stivale. Il Governo - che ora interviene - non ha potuto ignorarle. A fronte dei due grandi blocchi contrapposti (lavoratori e datori di lavoro), la rilevazione scientifica può aiutare a tracciare la tendenza più attendibile.

Lo studio

 

Il data analyst Davide Stasi ha assunto a riferimento i dati Inps. E il quadro che ne ha ricavato non rende certo onore a una delle mete turistiche più ambite d’Italia ed Europa, qual è la Puglia. Basti pensare - ecco il primo dato - che circa un terzo dei lavoratori del turismo impiegati al Sud opera in questa regione: 112.187 su 351.505. Sono numeri che si riferiscono alla stagione 2019/2020, quando la pandemia era una perfetta sconosciuta e la Puglia accoglieva 4,2 milioni di arrivi (+4.4% sul 2018) e 15,5 milioni di presenze (+2%, Osservatorio Agenzia Regionale del Turismo). Ebbene, in quello stesso periodo la retribuzione media annua era pari a 6.754 euro (per una media di 144 giornate l’anno), ovvero 348 euro in meno rispetto alla media meridionale (7.102 euro per 148 giornate) e 3.066 euro in meno rispetto alla media nazionale (9.820 euro per 178 giornate).

Cifre che si assottigliano ancora di più nel rapporto tra le diverse categorie di lavoratori del turismo.

Lo squilibrio esistente è un altro colpo nello stomaco. Pensate: a fronte del più del 90% di lavoratori inquadrati come “operai” (baristi, camerieri, addetti alla preparazione, cottura e distribuzione cibi ecc) che, come tali, in Puglia percepiscono in media 6.288 euro, vi è, infatti, uno 0,1% composto da quadri e dirigenti che, rispetto ai primi, guadagna in media 100 volte di più (58.718 euro). Poi ci sono gli impiegati (9%), che percepiscono più del doppio degli operai (14.734). E, infine, sempre al di sopra degli operai, ci sono pure gli apprendisti (7.059). Quanto ai contratti (il Ccnl di categoria riconosce una retribuzione al 7° livello di 1.291 euro mensili), il 68% circa dei lavoratori pugliesi del turismo nel 2019 risultava a tempo o stagionale, il restante 32% a tempo indeterminato. Lievi le differenze a livello territoriale.

Dopo quella di Bari, è la provincia di Brindisi a riservare il miglior compenso medio nel turismo (7.149 euro), ma anche la maggiore differenza tra il compenso degli operai e quello dei quadri/dirigenti (14 in tutto): 6.552 contro 71.281 euro. Più equilibrato (seppur sempre molto sbilanciato a favore dei secondi) è il rapporto tra operai e dirigenti in provincia di Lecce (6.026 contro 52.770 euro) e in provincia di Taranto (6.110 contro 52.614). «Il turismo in Puglia è ancora molto condizionato dalla stagionalità. Durante l’estate si moltiplicano gli arrivi nel Salento, ma le aziende non riescono a sfruttare appieno questa opportunità, perché la loro redditività resta ancora troppo bassa ed è questo - secondo Stasi - il tema cruciale da affrontare. Se a fronte di migliaia e migliaia di arrivi non si riscontrano ritorni economici altrettanto eclatanti, vuol dire che il modello di fare impresa non è redditizio come dovrebbe. O meglio, vuol dire che la nostra offerta turistica non è così matura da garantire buoni profitti»

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