Dal Nord al Sud, per lavoro: 45mila in smart working. «Ma ora servono i servizi»

Dal Nord al Sud, per lavoro: 45mila in smart working. «Ma ora servono i servizi»
di Maria Claudia MINERVA
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Martedì 17 Novembre 2020, 12:40

Quando dopo il primo lockdown si cominciò a valutare l'ipotesi di ricorrere al southworking durante il periodo estivo, più di qualcuno si dimostrò scettico bollandola come un'idea destinata a non avere successo. Invece oggi, a pochi mesi dal suo esordio, si contano ben quarantacinquemila addetti. Lavoratori che per le conseguenze della pandemia hanno deciso di lavorare al Sud per le grandi imprese del Centro-Nord. Sono questi i primi risultati di una indagine realizzata da Datamining per conto della Svimez su 150 grandi imprese, con oltre 250 addetti, che operano nelle diverse aree del Centro Nord nei settori manifatturiero e dei servizi. Dati contenuti nel Rapporto Svimez 2020, che sarà presentato il prossimo 24 novembre.


Il southworking è l'ultima frontiera dello smart working: fare le valigie e trasferirsi a casa propria, nelle regioni del Mezzogiorno, lasciando le grandi città dove prima della pandemia si era obbligati a risiedere. Così facendo si guadagna in qualità della vita grazie alla presenza dei familiari, del clima e dei prezzi più convenienti. «Un fenomeno in crescita che rischia di svuotare le grandi città del Nord - dice la ricerca -. Una cifra quella dei quarantacinquemila lavoratori che equivale a 100 treni Alta Velocità riempiti esclusivamente da quanti tornano dal Centro Nord al Sud. Il dato potrebbe essere solo la punta di un iceberg. Se teniamo conto anche delle imprese piccole e medie (oltre 10 addetti) molto più difficili da rilevare, si stima che il fenomeno potrebbe aver riguardato nel lockdown circa 100 mila lavoratori meridionali». Discorso a parte andrebbe fatto per la pubblica amministrazione dove il ricorso allo smartworking viene incoraggiato dall'inizio della pandemia. Dall'indagine emerge anche che, considerando le aziende che hanno utilizzato lo smartworking nei primi tre trimestri del 2020, o totalmente o comunque per oltre l'80% degli addetti, circa il 3% ha visto i propri dipendenti lavorare in southworking».

Il lavoro “smart” che ripopola il Sud


Poter offrire ai lavoratori meridionali occupati al Centro-Nord la possibilità di lavorare dai rispettivi territori di origine potrebbe costituire un inedito e quanto mai opportuno strumento per la riattivazione di quei processi di accumulazione di capitale umano da troppi anni bloccati per il Mezzogiorno e per le aree periferiche del Paese.

Il Rapporto Svimez propone l'identificazione di un target dei potenziali beneficiari di misure per il southworking. «Occorre concentrare gli interventi sull'obiettivo di riportare al Sud giovani laureati (25-34enni) meridionali occupati al Centro-Nord - dicono gli esperti della Svimez -. Utilizzando i dati Istat sulla forza lavoro e quelli relativi all'indagine sull'inserimento professionali dei laureati italiani, si è stimato che la platea di giovani potenzialmente interessati ammonterebbe a circa 60.000 giovani laureati».


In base ai numeri forniti dall'associazione South Working Lavorare dal Sud, fondata dalla giovane palermitana Elena Militello, che ha collaborato al capitolo del Rapporto Svimez, l'85,3% degli intervistati andrebbe o tornerebbe a vivere al Sud se fosse loro consentito, e se fosse possibile mantenere il lavoro da remoto. «Si tratta - spiega Militello - di una realtà che già conta 7.300 persone iscritte alla pagina Facebook, con un pubblico di circa 30mila persone ogni mese. Da questa ricerca, condotta su un campione di 2mila lavoratori, emerge che circa l'80% ha tra i 25 e i 40 anni, possiede elevati titoli di studio, principalmente in Ingegneria, Economia e Giurisprudenza, e ha nel 63% dei casi, un contratto di lavoro a tempo indeterminato».


La ricerca analizza anche i vantaggi che le imprese e i lavoratori oggetto dell'indagine hanno riscontrato nella sperimentazione di esperienze di southworking e le politiche che sarebbero necessarie per la diffusione di tali esperienze. La Svimez, con l'avvio di un Osservatorio sul southworking intende promuovere l'adozione di un pacchetto di misure volte all'attrazione di lavoratori qualificati che potrebbero favorire la riattivazione di quelle precondizioni dello sviluppo da troppi anni abbandonate. «Il southworking commenta il direttore della Svimez, Luca Bianchi - potrebbe rivelarsi un'interessante opportunità per interrompere i processi di deaccumulazione di capitale umano qualificato iniziati da un ventennio (circa un milione di giovani ha lasciato il Mezzogiorno senza tornarci) e che stanno irreversibilmente compromettendo lo sviluppo delle aree meridionali e di tutte le zone periferiche del Paese. Per realizzare questa nuova opportunità è tuttavia indispensabile costruire intorno ad essa una politica di attrazione di competenze con un pacchetto di interventi concentrato su quattro cluster: 1) incentivi di tipo fiscale e contributivo ; 2)creazione di spazi di co-working; 3)investimenti sull'offerta di servizi alle famiglie 4) infrastrutture digitali in grado di colmare il gap Nord/Sud e tra città e periferie».

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