Settimana corta al lavoro: l'ipotesi che coinvolge 931mila pugliesi. Sindacati e imprese divisi

Settimana corta al lavoro: l'ipotesi che coinvolge 931mila pugliesi. Sindacati e imprese divisi
di Rita DE BERNART
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Giovedì 2 Marzo 2023, 05:00

Settimana corta? C’è l’apertura del Governo ai 4 giorni di lavoro invece che 5. E l’ipotesi di una sperimentazione partendo dalle regioni del Sud accende il dibattito anche in Puglia. A dare l’input nelle ultime ore sono state le dichiarazioni del ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso che, in occasione dell’assemblea nazionale unitaria Fiom e Filctem Cgil, si è detto disponibile a riflettere sulla questione: da una parte ci sono i sindacati da sempre promotori della riduzione dell’orario di lavoro, dall’altra le associazioni datoriali e il mondo delle imprese che invocano la necessità di calare la discussione nella realtà oggettiva del mondo del lavoro e del sistema produttivo nazionale. Secondo il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, in una intervista rilasciata a Il Mattino, la riduzione dell’orario di lavoro «è una ricetta che la Cisl ha storicamente sempre sostenuto fin dagli anni settanta per accompagnare le trasformazioni tecnologiche, ridistribuendo il lavoro in modo da salvaguardare occupazione, aumentare i salari, rilanciare la produttività». 

Le richieste dei sindacati

Un’opportunità questa che va connessa al progresso tecnologico, all’evoluzione organizzativa nelle imprese, ad incrementi di produttività collegati a percorsi di formazione permanente dei lavoratori. Sbarra ha dunque chiesto «di aprire una fase sperimentale, individuando 100 imprese grandi e medie dove trasformare, su base volontaria, accordi di produttività in riduzione oraria» e ha specificato che «molte aziende in Italia stanno praticando questa strada che potrebbe essere esportata in tutti gli stabilimenti del gruppo Stellantis a cominciare da quelli nel Mezzogiorno». 
Se dovesse andare in porto questa rivoluzione gentile tanto ambita, in Puglia potrebbe riguardare 931.632 dipendenti, secondo i dati dell’ Osservatorio Economico Aforisma. Sempre secondo lo stesso istituto di statistica i disoccupati nel territorio regionale risultano pari a circa 205.000, di cui il 56% riguarda la componente maschile mentre la forza lavoro complessiva (dipendenti, indipendenti e disoccupati) ammonta a circa 1.412.000 unità, di cui 62% sono maschi. In questo contesto una ipotetica redistribuzione del monte ore lavorative potrebbe far scendere il tasso di disoccupazione. Ne sono convinti i sindacati. 
«Il Mezzogiorno potrebbe rappresentare un terreno di sperimentazione - commenta il segretario regionale Cisl Antonio Castellucci - coniugando innovazione, sviluppo e qualità della vita anche in direzione di una riduzione delle diseguaglianze e per garantire una reale opportunità di crescita di un territorio dalle grandi potenzialità di sviluppo.

L’organizzazione del lavoro nel tempo è cambiata più volte e probabilmente continuerà a cambiare sulla base del mutamento delle tecnologie ma anche degli stili di vita, la stessa pandemia ha spinto in direzione dello smart working e del lavoro da remoto mostrando come sia possibile in alcuni casi ridurre la presenza del lavoratore in azienda garantendo comunque la continuità “produttiva”. Si tratta, come ha sottolineato il nostro segretario generale Luigi Sbarra, di una grande sfida da cogliere attraverso una reale contrattazione che come Cisl già negli anni 70 abbiamo posto, con l’obiettivo di aumentare i salari e salvaguardare l’occupazione , rilanciando la qualità del lavoro. Occorre coniugare il progresso tecnologico, l’evoluzione organizzativa delle aziende, la formazione permanente dei lavoratori ma anche incentivare gli accordi aziendali per la riduzione dell’orario o il part time agevolato».

Confcommercio e Confindustria

Su una posizione decisamente più critica Confcommercio e Confindustria che contestualizzano la questione nel delicato momento storico. «In un momento in cui è necessario produrre di più per superare la crisi, e per sostenere gli enormi costi energetici e indiretti di gestione – spiega Nicola Delle Donne, presidente di Confindustria Lecce - le imprese si ritroverebbero invece con maggiori uscite e con una riduzione della produttività. In questa fase inoltre dobbiamo fare i conti con la mancanza di personale e la difficoltà di reperire addetti specializzati in diversi settori; mancano le risorse umane ma le aziende hanno necessità di mantenere i livelli produttivi; inoltre, ipotizzando nuove assunzioni, va considerato il grosso impatto che il personale ha sugli oneri di impresa, in termini di fiscalità. Occorre calare questa proposta nella realtà». 
Stesso paradigma per Confcommercio che analizza in particolare la situazione di alcuni comparti. «Questa proposta – dice Giuseppe Chiarelli, direttore regionale - può andar bene nel settore dei beni immateriali dove già si lavora per obiettivi e ciò non cambia dunque la produttività. Nel commercio e nel turismo ad esempio non è possibile. C’è una richiesta crescente di continuità nell’erogazione del servizio, e per le aziende vuol dire stare quanto più possibile aperti anche nei festivi; questo comporterebbe dunque avere più personale e più costi per l’impresa».

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