Ospedali: resta tutto com'è. Nuova rete senza tagli: si teme la seconda ondata

Ospedali: resta tutto com'è. Nuova rete senza tagli: si teme la seconda ondata
di Vincenzo DAMIANI
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Giovedì 9 Aprile 2020, 23:27 - Ultimo aggiornamento: 10 Aprile, 16:09
L’emergenza coronavirus potrebbe consegnare ai pugliesi una sanità rafforzata dopo oltre dieci anni di tagli, chiusure ospedalieri o riconversioni come si preferisce dire, riduzione di posti letto e blocco delle assunzioni. La Regione, infatti, non ha nessuna intenzione di tornare indietro e con sei delibere ha sostanzialmente confermato i posti letto “aggiuntivi” attivati per affrontare la pandemia.

Si tratta di circa 500 unità in più, quindi si passerà da 11.500 posti a circa 12mila. Ovviamente, questa mossa comporterà anche un ampliamento degli organici: le Asl, sino a martedì scorso, aveva provveduto ad assumere circa 800 persone, tra medici, infermieri ed altre professionalità. L’intenzione del governo regionale è di non perdere questo patrimonio umano ma riconfermarlo anche al termine della prima pandemia da coronavirus. Peraltro, una seconda ondata è attesa per il prossimo autunno, quando ancora non ci sarà a disposizione un vaccino. Quindi, ricapitolando, resteranno attivi 346 posti letto nelle terapie intensive, a febbraio erano la metà (173 circa); 564 nelle pneumologie e 701 nelle malattie infettive. Cosi, come non verranno cancellati i posti letto post acuzie, recuperati “riaprendo” gli ospedali riconvertiti, cioè quelli riservati ai pazienti Covid guariti ma non ancora “negativizzati”: sono 130 di lungodegenza e 306 di riabilitazione.

Insomma, i vecchi ospedali torneranno a nuova vita. La pandemia, quindi, potrebbe regalare ai pugliesi più reparti e strutture, oltre che maggior numero di medici e infermieri. La “rete Covid”, però, non verrà smantellata a stretto giro, resterà in piedi anche quando il numero di contagi sarà pari a zero perché, come detto, si teme e ipotizza una seconda ondata in autunno, già a partire da ottobre-novembre. Sono 11 le strutture dedicate all’emergenza, per un totale di 2.143 posti letto. Un piano costruito sulla previsione che si arrivi a 3.500 contagi. La “prima linea” è composta dal Policlinico di Bari, il Riuniti di Foggia, il Perrino di Brindisi, Moscati di Taranto, Fazzi di Lecce e l’ospedale di Bisceglie, per quanto riguarda i pubblici; l’ecclesiastico è il Miulli di Acquaviva delle Fonti (Bari), i due privati che hanno aderito all’appello della Regione sono Villa Lucia di Conversano (Bari) e Anthea Hospital, sempre a Bari, l’ospedale di Galatina e Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. I posti di terapia intensiva sono passati da 173 a 344; quelli di pneumologia da 186 a 564 posti letto; quelli di malattie infettive da 352 a 709 unità. A questi si aggiungono 493 posti letto post acuzie per quei pazienti guariti, complessivamente quindi i posti letto sono 2.143. Gli ospedali “No Covid”, invece, sono 24 pubblici e 22 privati, in tutto quindi 46. Questa impostazione verrà mantenuta almeno sino alla prossima primavera, poi però i nuovi reparti e posti letto non verranno disattivati. «Questa epidemia – ha spiegato il governatore Michele Emiliano - dimostra che tutte le regole che i vari governi centrali di tutti gli schieramenti avevano imposto sul dimensionamento della rete ospedaliera non prevedevano il rischio pandemia e pertanto erano sbagliate. L’organizzazione mondiale della sanità aveva più volte avvertito di questo rischio sin dai primi anni 2000. Adesso la Regione Puglia andrà avanti da sola, sempre disponibile a concertare le proprie azioni con il governo centrale, e si doterà di una rete ospedaliera nella quale si valuterà la ridestinazione di molti siti, la gestione della coda lunga dell’epidemia Covid, contestualmente alla ripresa negli ospedali che torneranno Non Covid dell’attività ordinaria che presto diventerà urgente. È ormai chiaro che servono più posti letto, più terapie intensive, più personale e anche più assistenza domiciliare anche attraverso i medici di medicina generale e l’impiego delle nuove tecnologie». Emiliano è convinto di aver «gettato le basi per poter garantire, in una situazione di normalizzazione, la domanda di salute che in precedenza, non già per mancanza di professionalità ma per esercizio della libera scelta, si canalizzava verso le Regioni del nord«. È un fatto accertato dalla Corte dei Conti che dal 2012 al 2017 nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord hanno aumentato la loro quota, mediamente, del 2,36%; altrettante regioni del Sud, tra queste la Puglia, invece, già penalizzate perché beneficiare di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno. Tradotto in euro, significa che, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato poco meno di un miliardo in più (per la precisione 944 milioni) rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria. Meno soldi, meno investimenti, meno personale.
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