Sanità, parla il direttore Montanaro: «Dai tre ai 5 anni per fermare la fuga dei pugliesi fuori regione»

A tu per tu con il direttore del Dipartimento Salute della Regione

Vito Montanaro
Vito Montanaro
di Paola ANCORA
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Venerdì 17 Marzo 2023, 05:00

Vito Montanaro, lei è direttore del Dipartimento Salute della Regione. I dati raccolti ed elaborati da Gimbe sulla mobilità passiva restituiscono uno spaccato non nuovo per la Puglia: ancora moltissimi cittadini preferiscono curarsi fuori regione e tuttavia, sempre per il 2020, il servizio sanitario pugliese è stato promosso dal ministero a pieni voti. Che cosa manca, per fermare questo esodo?
«I dati Gimbe confermano il quadro sul quale abbiamo intavolato il confronto con il Governo. La Regione ha attivato un piano progettuale vasto mirato a ridurre sia il volume che il valore della mobilità passiva, grazie al recupero delle prestazioni arretrate e all’abbattimento delle liste d’attesa. Ai finanziamenti previsti con l’ultimo decreto del 2023, la Giunta ha scelto di aggiungere 28,5 milioni di risorse proprie con l’obiettivo di pianificare l’acquisto di prestazioni sanitarie dai privati accreditati e prestazioni aggiuntive dal pubblico per intervenire precipuamente sui servizi che, a oggi, rilevano il maggiore tempo d’attesa o ai quali è legato un più alto indice di fuga. Lavoriamo per dare risposte». 

Tuttavia, direttore, anche la Puglia ha un suo indice di mobilità attiva, ovvero un certo flusso di pazienti che dalle altre regioni scelgono di venire a curarsi qui, ma nel 70% dei casi si rivolgono alle strutture private, non al pubblico. Perché avviene questo? I servizi resi dai privati sono migliori di quelli degli ospedali pubblici?
«Non è questo il punto.

Grandi ospedali come il Miulli di Acquaviva o il San Giovanni Rotondo si trovano molto vicini ai confini con la Basilicata, la Campania e il Molise e, da questo punto di vista, sono agevolati a differenza di altre strutture, pubbliche o private, geograficamente penalizzate. Penso al “Cardinale Panico” o al “Fazzi” nel Salento, o al Santissima Annunziata di Taranto. Le strutture pubbliche che riescono ad attrarre pazienti da fuori regione sono i policlinici, di Foggia e di Bari, e gli Irccs pubblici di Castellanata e di Bari. In ogni caso, su questo fronte, stiamo cercando di contrattare le prestazioni con le altre Regioni».

Che cosa significa? 
«Significa che intendiamo impedire, anche solo in via ipotetica, che vi siano comportamenti opportunistici da parte dei servizi sanitari di altre Regioni, incluso i privati accreditati. Per questo, come previsto dalla scheda quattro del Patto Salute, abbiamo avviato una contrattazione sulle prestazioni cedute e acquistate da una Regione all’altra per contenere le spese e, contestualmente, migliorare il servizio regionale, ovvero per garantire ai cittadini le stesse prestazioni che hanno cercato di ottenere fuori dai confini della Puglia».<QA0>

Direttore, qual è l’orizzonte temporale che la Regione si è data per abbattere la mobilità passiva almeno del 50%?
«Dai tre ai cinque anni. Ci si può riuscire soltanto organizzando meglio la sanità pubblica, investendo e formando gruppi e percorsi di lavoro per offrire più di quanto si faccia ora. Il privato deve restare un importante complemento».

E come pensate di riuscirci, con i budget annuali a subire ogni anno un taglio? Gimbe non a caso cita le tre Regioni a “trazione autonomista”: non sembra essere nell’aria una maggiore iniezione di risorse, semmai il contrario. 
«Per questo la politica deve insistere perché il Governo punti realmente più denaro sulla salute e il sistema sanitario universalistico. Se si stanziano 2 miliardi in più sul Fondo sanitario per far fronte al caro-energia, significa che lo Stato ci dà i soldi necessari solo per pagare bollette ai fornitori di servizi. Quei due miliardi servirebbero, invece, per avere più personale, più medici, più infermieri. Con il Pnrr abbiamo le apparecchiature e anche gli spazi, ma ci manca il personale. Quella è la vera emergenza da risolvere».

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