Nel 2020 sono stati 382 i pugliesi che, nonostante il blocco dei ricoveri per la pandemia Covid, si sono sottoposti ad un intervento chirurgico fuori regione per risolvere il problema dell'obesità. E la Regione ha sborsato oltre 2,1 milioni. Ma sono stati spesi 900mila euro anche per interventi al piede, oltre mezzo milione di euro per operazioni alla tiroide, tutte prestazioni sanitarie etichettate come di bassa complessità. Si tratta solo di tre esempi ma, mediamente, ogni anno il 52% della spesa per mobilità passiva riguarda interventi a non alta complessità, operazioni di routine o, comunque, non salvavita che il sistema sanitario regionale pugliese dovrebbe essere in grado di assicurare attraverso la propria rete di ospedali. Invece, ogni anno i viaggi della speranza si ripetono in maniera impropria: lo evidenzia l'assessorato alla Sanità nella delibera di Giunta numero 315.
«Nel Salento non c'era il robot utile a operarmi: così sono andato via»
La relazione di Palese
Nella relazione firmata dall'assessore Rocco Palese vengono sottolineati due dati: nel 2019 i ricoveri fuori regione sono stati 56.738, per un costo totale di 241 milioni.
«A Parma hanno salvato mia figlia: qui mancano specialisti e umanità»
Ecco quali specialità richiamano fuori regione
Le discipline che fanno registrare la maggiore mobilità passiva sono: ortopedia e traumatologia; chirurgia generale, neurochirurgia, cardiochirurgia, urologia, neuroriabilitazione, recupero e riabilitazione funzionale, oncologia, chirurgia toracica, ostetricia e ginecologia e otorinolaringoiatria. Capitolo a parte merita la pediatria, sono ancora 10mila i bimbi che ogni anno vengono curati fuori dai confini pugliesi, al Gaslini, Meyer o Bambin Gesù. «Un'attenzione particolare si legge sempre nella delibera - merita l'assistenza pediatrica, rispetto alla quale si determina una mobilità passiva rilevante determinata dal Bambin Gesù, con particolare riferimento alle seguente discipline: cardiochirurgia pediatrica; cardiologia; chirurgia pediatrica; ematologia e oncologia».
Ma cosa porta i pugliesi a spostarsi a Milano, Bologna o Roma anche per un alluce valgo? «È un problema strutturale», sostiene il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, il barese Filippo Anelli. «È tutta colpa delle diseguaglianze create dalla sanità delle Regioni, dal federalismo sanitario che ha ridotto il finanziamento al Sud e ha portato a creare i migliori centri al Nord. Per superare questo gap occorre ridisegnare il sistema sanitario nazionale, dare vita a delle Reti sovraregionali per fare sì che a spostarsi non siano i cittadini ma i professionisti». C'è, però, chi punta il dito anche sugli stessi medici e Asl che si fanno concorrenza tra loro come in un sistema privato per attrarre il maggior numero di ammalati, un po' quello che avviene negli Stati Uniti d'America.
Problema legato alle risorse
«Il problema ammette Anelli esiste ma è sempre legato alle risorse perché chi è più ricco può contare su una migliore organizzazione. Faccio un esempio: se ho più soldi da spendere, potrò permettermi di dare vita ad un centro che si specializzi nell'intervento per l'alluce valgo. Ovviamente quei medici faranno 10mila operazioni all'anno e diventeranno i migliori in Italia e, di conseguenza, tutti si rivolgeranno a loro. Quei medici poi verranno al Sud a colonizzarci e portare da loro i pazienti». Un sistema che potrebbe essere interrotto solo in un modo, secondo Anelli: «Andando oltre le sanità regionali riprende dando vita a Reti sovraregionali specializzate in settori diversi, il tutto all'interno del sistema pubblico. In questo modo, se gli specialisti più bravi si troveranno a Milano, saranno loro a doversi spostare in Puglia e non i cittadini a dover andare da loro, tutto si svolgerebbe nell'ambito sempre del pubblico».
La proposta al Governo
«Noi continua Anelli abbiamo già presentato questa proposta al governo, da tempo ormai chiediamo una sanità diversa per interrompere questo sistema che premia le disuguaglianze. Bisogna superare anche il processo di aziendalizzazione della sanità, non ha più senso. Il Covid ci ha insegnato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la spesa sanitaria non è un costo ma un investimento, come riconosciuto dal ministro Speranza. E allora eliminiamo il concetto di pareggio di bilancio e, passo successivo, riduciamo l'ingerenza della politica nelle scelte prettamente sanitarie, che devono essere ad appannaggio dei professionisti». Solo così, secondo Anelli, si potrà evitare che la Puglia, come accaduto nel 2018, spenda 243 milioni per la mobilità passiva, o 241 milioni nel 2019. Passivi che rischiano di riportare il sistema sanitario regionale nuovamente in Piano operativo per altri tre anni.