La sanità banco di prova dell'autonomia che verrà. Sempre che le forze di centrodestra riescano a trovare un accordo e a riunirvi attorno visioni e prospettive diverse delle Regioni italiane. Esistono già 20 sistemi sanitari regionali differenti, che si muovono tutti sotto il coordinamento finanziario ed economico dello Stato centrale, ma il ventaglio di servizi e diritti offerto ai cittadini è molto diverso fra la Puglia e la Lombardia o fra la Puglia e il Veneto. E se la Lega allunga la mala gestio della politica meridionale sul piatto delle motivazioni sottostanti i divari profondi già esistenti, i numeri raccontano anche un'altra realtà. E anche questa va tenuta in considerazione quando si affronta il tema dell'autonomia differenziata: non a caso, proprio Fratelli d'Italia, forza che condivide con la Lega le responsabilità di Governo, ha inserito nel suo programma elettorale l'attuazione piena dell'articolo 119 della Costituzione e, dunque, della coesione sociale.
I numeri
I numeri dunque.
Del resto, a ribadire l'importanza del principio di perequazione dei fondi statali è stato lo stesso ministro Roberto Calderoli nel 2009, con il varo della legge 42, ma quella disposizione come anche i Livelli essenziali delle prestazioni sono rimasti lettera morta, principi astratti che mai si è riusciti a calare nella realtà di un Mezzogiorno che ancora arranca. Restando sempre sulla sanità: dal 2018 al 2020 la Puglia ha dovuto sborsare 700 milioni di euro per pagare alle Regioni del Nord le prestazioni sanitarie garantite ai pugliesi che hanno affrontato i cosiddetti viaggi della speranza, in linguaggio tecnico la mobilità sanitaria passiva. Sono, cioè, andati a curarsi al Nord. A ciò si aggiungano i 200 milioni di euro in meno che ogni anno, da 25 anni a questa parte e a parità di popolazione, la Puglia riceve rispetto all'Emilia Romagna. I conti sono presto fatti: 5 miliardi di euro in meno in 25 anni al netto delle spese pagate al Nord per farsi carico dei nostri malati.
Il varo dell'autonomia differenziata immaginata da Calderoli ovvero con il riparto dei fondi statali sulla base della spesa storica e senza una chiara definizione di come funzionerebbero i meccanismi perequativi finirebbe per tagliare le gambe già esili sulle quali si regge la Puglia della sanità, mettendo a rischio secondo i calcoli fatti dall'assessorato regionale alla Salute - il 60% delle prestazioni socioassistenziali e sanitarie garantite oggi. Per questo, dalla Regione, si dicono «pronti a tutto» pur di impedire che il ddl Calderoli veda la luce così com'è.
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