Sanità a doppia velocità: sborsati 1,84 miliardi per pagare le cure al Nord

Sanità a doppia velocità: sborsati 1,84 miliardi per pagare le cure al Nord
di Vincenzo DAMIANI
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Sabato 21 Gennaio 2023, 05:05 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 05:05

La Puglia, nel 2019, è tra le regioni con la più bassa spesa pubblica per la sanità. Eppure, in dieci anni, dal 2012 al 2021, ha sborsato per la mobilità passiva 1,84 miliardi, una cifra monstre. Per curare i cittadini fuori dai confini regionali sono state impiegate risorse che avrebbero potuto finanziare nuovi ospedali, l’acquisto di macchinari e assunzioni di personale, che avrebbero potuto ridurre le liste di attesa. Tutto questo, però, nonostante nello stesso arco di tempo sia migliorata la qualità delle cure, come testimoniano le valutazioni dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), e nonostante sia stato azzerato il debito.

Il miglioramento nonostante la fuga al Nord

In sostanza, nonostante la Puglia “finanzi” indirettamente i sistemi sanitari regionali del Nord per pagare i cosiddetti “viaggi della speranza”, perdendo preziose risorse, allo stesso tempo è riuscita a migliorarsi. Tutto questo, tuttavia, non appare sufficiente perché restano «ancora significative le differenze geografiche nei servizi territoriali, come quelli per le cure palliative ai malati di tumore, il numero di anziani non autosufficienti in trattamento socio-sanitario e l’assistenza domiciliare integrata». La disamina è realizzata dalla Corte dei Conti nella relazione sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali trasmessa al Parlamento. 
Il problema pugliese, però, va contestualizzato: è tutto il Sud a ritrovarsi nella medesima situazione per via di un sotto-finanziamento che dura ormai da 20 anni e di un sistema perverso che porta a incrementare le disparità che l’autonomia differenziata rischia di amplificare ulteriormente.

La situazione nelle regioni del Sud

Per capire, dal 2012 a 2021, cinque Regioni del Sud (oltre alla Puglia anche Campania, Calabria, Sicilia e Abruzzo) hanno speso per la mobilità passiva oltre 10,8 miliardi di euro, soldi che sono finiti nelle casse del Nord, principalmente Lombardia (6,1 miliardi) ed Emilia Romagna (3,3 miliardi), ma ci hanno guadagnato anche Toscana (1,3 miliardi) e Veneto (1,1 miliardi).

A queste ingenti somme, bisogna aggiungere i soldi derivanti dal riparto del Fondo sanitario nazionale e, anche in questo caso, i numeri sono certificati sempre dalla Corte dei Conti e parlano chiaro: dal 2012 al 2017, sei regioni del Nord hanno aumentato la loro quota, mediamente, del 2,36%; altrettante regioni del Sud, invece, già penalizzate perché beneficiari e di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno. Significa che, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato poco meno di un miliardo in più (per la precisione 944 milioni) rispetto alla Puglia, Molise, Basilicata, Campania, Abruzzo e Calabria.

La prospettiva dell'equità


Un più equo meccanismo di attribuzione delle risorse avrebbe permesso alla Puglia di ricevere, mediamente, 250 milioni in più all’anno. L’Emilia Romagna, a quasi parità di popolazione, in 13 anni ha ricevuto 3 miliardi in più rispetto alla Puglia. Finanziamenti diversi si ripercuotono a cascata sulla capacità delle Regioni di investire in strumentazione e personale. Tutto questo nonostante negli ultimi dieci anni siano state le Regioni del Mezzogiorno a migliorare i loro conti e la qualità dell’assistenza: «I risultati delle Regioni in piano di rientro – si legge nel report - sembrano relativamente migliori e mostrano una riduzione da 2,1 a 0,7 miliardi di euro dei disavanzi dei servizi sanitari tra il 2012 e il 2020, con qualche segnale di peggioramento nel 2021, e indicherebbero un positivo sviluppo gestionale, già maturato con la spending review 2012-2019». Le Regioni in piano di rientro solo quasi tutte del Sud, fatta eccezione per il Lazio. Solamente nel 2020, le Regioni in piano di rientro hanno ridotto il disavanzo sul 2019 del 59% circa, quelle non sottoposte a piano di rientro del 34% e le Autonomie speciali (esclusa la Sicilia, inserita tra Regioni in piano di rientro) del 19%. «Il risanamento finanziario – evidenziano i magistrati contabili -, inoltre, non sembra essere avvenuto a scapito dei Lea, migliorati costantemente almeno fino al 2019, tranne limitate eccezioni».

La spesa procapite sbilanciata


Tutto questo ha un altro riflesso: la spesa pubblica sanitaria pro capite è sbilanciata in favore del Nord. Infatti, nel 2019, tutte le regioni del Mezzogiorno, compresa la Puglia hanno una spesa inferiore alla media nazionale, pari a 1.961 euro. La Puglia si attesta a 1.888 euro, fanalino di coda è la Campania con 1.820 euro, segue la Calabria con 1.868 euro, poi il Lazio (1.875), Sicilia (1.884), quindi Puglia, a seguire la Basilicata (1.902). Mentre quasi tutte le regioni del Nord hanno una spesa pro capite superiore alla media: Liguria 2.132 euro, Friuli Venezia Giulia 2.129, Valle d’Aosta 2.096 euro, Emilia Romagna 2.067 euro, Toscana 2.032 euro, Lombardia 2.000. 
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