L'imprenditore: «Per il pellet 50 richieste al giorno, ma possiamo accontentarne dieci»

Marcello Piccinni
Marcello Piccinni
di Pierpaolo SPADA
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Venerdì 9 Settembre 2022, 19:15 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 00:01

Interventi urgenti per evitare che il sistema produttivo salti», sollecita l’amministratore di Fiusis srl, Marcello Piccinni. Con una centrale a biomasse da 1 MW e un impianto inaugurato nel 2020 in piena pandemia, a Calimera produce e vende, rispettivamente, energia elettrica e pellet. 
 

Dottor Piccinni, qual è l’importo della sua ultima bolletta per la fornitura di energia elettrica? 

«Siamo a 38mila euro contro i 9mila dell’agosto 2021. E siamo stati costretti ad adeguare al nuovo costo dell’energia quello del pellet. Se lo avessimo messo in vendita a 8 euro saremmo stati comunque competitivi, ma abbiamo deciso di continuare a venderlo al prezzo di produzione, ovvero 6,50 euro per un sacchetto da 15 chili. E ritengo che sia un prezzo tra i più bassi in Italia: in provincia di Lecce, il pellet è arrivato ormai a 10-12 euro». 
 

Ma così non teme di andare in perdita? 

«Rispetto a un anno fa, abbiamo comunque aumentato il prezzo al sacchetto di 2 euro.

Potevamo elevarlo maggiormente, ma abbiamo optato per un incremento sostenibile per restare vicini alla gente, perché noi siamo un’azienda del territorio, produciamo nel Salento utilizzando legno locale e così facendo ci siamo messi al riparo dalle speculazioni internazionali. Il problema è che per quanto concerne la produzione di pellet siamo ancora un’azienda in fase di start up e non possiamo soddisfare tutta la richiesta che stiamo ricevendo».

Qual è la differenza tra domanda e offerta?

«Con l’impianto attuale abbiamo programmato di arrivare a produrre a regime nel 2024. Oggi siamo al 50% della capacità e produciamo 10 tonnellate al giorno di pellet ma abbiamo richieste di acquisto per oltre 100. Ogni 50 persone che entrano nel punto vendita, 40 purtroppo le mandiamo via. Da alcune settimane, le nostre linee telefoniche sono intasate: riceviamo 250 telefonate all’ora e riusciamo a rispondere solo a dieci. In vista dell’autunno e dell’inverno, a fronte dei costi del metano, la gente sta cercando nel pellet un’alternativa più sostenibile. E quindi si sta già muovendo per fare scorte». 

State pensando di costruire un altro impianto? 

«Ci vuole tempo. Non è un investimento che si può fare dall’oggi al domani, non è facile. Stiamo cercando di capire se esistano i presupposti per poter ampliare la produzione, in modo tale da dare sfogo alla richiesta del territorio, che comunque ci inorgoglisce». 

Se i costi continueranno a salire, come vi comporterete anche con la centrale a biomasse? 

«Dovremo combatterci. Se, da un lato, infatti, vendiamo l’energia che produciamo a Gse allo stesso prezzo del 2009 perché abbiamo la tariffa bloccata per 15 anni, dall’altro compriamo da Enel l’energia che ci serve per far funzionare i nostri impianti al prezzo attuale, che è 4 volte superiore rispetto a un anno fa. Per il pellet, invece, non riusciamo a stare dietro al mercato. E oggi quanto più produci tanto più ti indebiti. È un paradosso ma è realtà: con i costi attuali, se il governo e l’Unione europea non individuano soluzioni serie tutto il sistema produttivo salterà in aria».

Cosa si aspetta che facciano le istituzioni nazionali ed europee? 

«Devono prendere coscienza del problema, che era prevedibile. Ne parlavo qualche anno fa, come se stessi predicando nel deserto. Occorre una nuova e seria politica energetica, non soluzioni-tampone. E occorre approntarla in tempi rapidissimi. Nell’immediato, come è stato fatto per il Covid, occorrerebbe dilazionare i pagamenti, attuare delle moratorie. Occorrono soluzioni per aiutare le aziende a superare questo momento drammatico che ha conseguenze per tutte le famiglie».

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